È stato giustiziato l’ex banchiere ed ex alto funzionario del Partito comunista cinese, Lai Xiaomin, di 58 anni, condannato a morte da un tribunale di Tianjin per corruzione e bigamia. Simbolo della crociata anti-corruzione del presidente cinese Xi Jinping, Lai era accusato tra l’altro di avere intascato in un decennio tangenti per l’equivalente di 260 milioni di dollari, in cambio di atti derivati dall’abuso della sua posizione su investimenti, contratti di costruzione e altri favori. Si tratterebbe della condanna più dura imposta nel Paese nell’ambito della corruzione: solitamente la maggior parte delle condanne a morte comminate dai tribunali cinesi è sospesa per due anni e commutata in ergastolo.

Come riportano i media statali cinesi, l’ex capo di China Huarong Asset management, uno dei quattro colossi finanziari controllati dallo Stato, era stato condannato a morte all’inizio di gennaio. Ma, già nell’aprile del 2018, era finito sotto inchiesta ed espulso dal Partito comunista cinese per “gravi violazioni delle regole disciplinari e delle leggi”, secondo la formula usata dalla Commissione centrale per l’ispezione disciplinare, la temuta Anticorruzione del Partito comunista cinese. Gli importi sono “estremamente elevati, le circostanze particolarmente gravi e le intenzioni estremamente dannose”, recitava la sentenza di condanna a morte. Ad aggravare la situazione dell’ex banchiere, “il più corrotto tra i corrotti”, che è stato anche capo del Dipartimento di supervisione bancaria della Banca centrale cinese, c’era il verdetto di colpevolezza per bigamia: per aver “vissuto a lungo con altre donne”, al di fuori del suo matrimonio, con le quali ha avuto “figli illegittimi”.

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