di Claudia De Martino
Israele è spesso propagandato sui media internazionali come un modello avanzato e di successo nella lotta al Covid-19, soprattutto per l’efficiente piano di vaccinazioni approntato in tutta velocità anche a paragone di colossi geopolitici come l’Unione Europea: al 27 gennaio, 4,3 milioni di cittadini avevano già ricevuto la prima dose del vaccino, mentre 800.000 circa avevano già avuto inoculate entrambe le dosi, risultando il Paese in cima alla classifica per percentuale di vaccinati su 100 abitanti (47 su 100 contro gli attuali 2.7 su 100 in Italia). Il vaccino somministrato, quello della Pfizer, sembra anche avere avuto limitatissime controindicazioni e un ottimo tasso di immunizzazione, dal momento che solo lo 0,04 dei vaccinati avrebbe nuovamente contratto il virus.
Tuttavia, colpisce come, a dispetto di tale ottimo risultato, il governo abbia oggi prolungato le attuali restrizioni e il regime di lockdown per il mese corrente. I dati infatti – una media di 8.000-10.000 infezioni al giorno – non permettono di allentare la pressione, nel timore che i contagi possano triplicare velocemente. Il picco di infezioni quotidiane, comparato agli altri Paesi del Medio Oriente, è rilevante e potrebbe essere stato causato dai frequenti rapporti con la diaspora ebraica attraverso viaggi privati che avrebbero introdotto le nuove varianti del Covid-19 nel Paese e dalla scelta, fino a questa settimana, di non chiudere l’aeroporto. Per il Premier Netanyahu, che ha puntato tutte le sue carte sul successo-lampo della campagna vaccinatoria in vista delle prossime elezioni di marzo, l’annuncio di un “quarto” successivo lockdown potrebbe risultare altamente controproducente.
Nondimeno, il problema centrale rimane la non osservanza delle regole da parte della grande comunità di ebrei ultra-ortodossi che in questo periodo pretendono l’esenzione dall’applicazione delle norme sanitarie così come in passato avevano esatto la loro non partecipazione all’esercito e alla forza-lavoro. Ad oggi, Yediot Ahronot, un popolare quotidiano israeliano, riporta che il settore ultra-ortodosso, che rappresenta circa il 12% della popolazione complessiva del Paese, conta per il 40% dei contagiati. A ciò si aggiunge la resistenza della comunità a sottoporsi al vaccino, considerato un mezzo di controllo da parte dei poteri laici dello Stato, ma anche oggetto di teorie cospirative e di resistenze culturali molto affini a quelle espresse dai movimenti no-vax di altri Paesi.
Studi recenti hanno dimostrato che non sarebbero tanto i rabbini, considerati all’intero delle rispettive comunità religiose delle autorità anche in materia sanitaria, ad ostacolare le vaccinazioni, quanto le scelte autonome di persone refrattarie alle acquisizioni della scienza moderna e sospettose nei confronti delle autorità statali. In molti casi, i vaccini sono considerati pericolosi per la salute, iniettando degli agenti patogeni estranei al corpo, eventualmente causando malattie più terribili di quelle che avrebbero dovuto prevenire, come l’epilessia, di cui si riscontrano numerosi casi nella comunità ultra-ortodossa, in ragione della frequente pratica di matrimoni incrociati all’interno della famiglia o altre ragioni sociali.
In altre parole, i rabbini non sarebbero in questo caso i veri responsabili della resistenza della componente ultra-ortodossa alla campagna vaccinale, ma anzi la loro autorità sarebbe vittima di una perdita di prestigio in materia sanitaria presso le loro stesse comunità proprio in virtù della loro adesione ai vaccini. I rabbini, che tradizionalmente vigilano sulla conformità alle regole della Torah (kashrut) delle pratiche e terapie sanitarie applicate ai membri della loro comunità, in materia di vaccini stavolta sarebbero stati soppiantati da Internet: un luogo in cui è possibile trovare informazioni dettagliate provenienti da fonti non scrutinate su qualsiasi questione sanitaria. Il paradosso è che gli ultra-ortodossi ebrei, che dovrebbero rifiutare tutti i “pericoli della società moderna” in blocco per ripiegarsi su sé stessi e le loro consuetudini plurisecolari, consultano sempre più frequentemente Internet per sostanziare le loro opinioni contrarie ai progressi della scienza. A ciò si aggiungono le loro particolari condizioni di vita, con famiglie numerose stipate in ambienti angusti, che possono più facilmente trasmettere il contagio tra membri, dal momento che l’isolamento cautelare è materialmente impossibile.
Vi è, invece, una specifica responsabilità dei rabbini nel non accettare le regole e le restrizioni imposte dal lockdown: misura a cui i giovani della comunità, come avvenuto ad esempio a Bnei Brak la scorsa settimana, hanno risposto anche con azioni violente, innescando una vera e propria sommossa. I rabbini ritengono l’osservanza del lockdown incompatibile con i loro doveri religiosi, che non possono essere interrotti mai e per nessuna ragione di forza maggiore, dal momento che nessuna regola o contingenza umana può ergersi al di sopra della volontà di dio e dell’obbligo di onorarlo. In altre parole, sinagoghe, bagni rituali, matrimoni e celebrazioni religiose di ogni tipo devono continuare indisturbate dal Covid-19, e così è stato finora, con la complicità e il silenzio-assenso delle autorità politiche, guidate da Netanyahu, che ha bisogno di accontentare gli ultra-ortodossi in tutte le loro richieste per assicurarsi la loro fedeltà in blocco alle prossime elezioni.
Un gioco politicamente rischioso per gli uni e per gli altri, che sta incrinando sempre di più l’immagine della comunità presso l’opinione pubblica israeliana, già scontenta dell’esenzione garantitale dal servizio militare e da altri obblighi statali. Il risultato ad oggi è la crescita esponenziale del partito Yesh Atid, l’unico a pronunciarsi nettamente su questi temi: “Quando e se dovessimo arrivare al potere, ci sarà una sola legge in questo Paese”, ha annunciato il leader Lapid. Ignorare il Covid-19 per gli ultraortodossi e causare l’entrata di tutto il Paese in un quarto lockdown, con tutte le conseguenze economiche che esso comporta per le fasce sociali più deboli, si potrebbe rivelare un boomerang tanto in vista dell’appuntamento del prossimo marzo.