di Luigi De Gregorio
Quelli dell’opposizione sono avidi di potere, come la maggior parte dei politici. E, come il martello vede il mondo fatto di chiodi da piantare, così codesti non vedono altro che ministeri da presidiare.
Suddetta psicopatologia del potere si autopotenzia nella prospettiva di partecipazione ad una montagna di soldi (209 miliardi) da gestire, quelli del Recovery Fund assegnati all’Italia. Ma dall’attuale collocazione di opposizione non potrebbero intervenire sulla pregiata montagna di pecunia. Invece potrebbero fare azioni di contrasto forti e ripetitive a qualunque governo, di cui essi non facciano parte, per ritardare l’azione governativa al punto da far perdere quote della disponibilità dei soldi che, per superamento di scadenze progettuali, non riuscirebbero a passare da allocati ad erogati. E ne conseguirebbe la facile accusa d’incapacità al governo, creando per sé un credito di consensi da raccogliere poi alle urne.
Però suddetta prospettiva di vittoria si presenta con tempi lunghi ed è in contrasto con l’occasione a tempi ravvicinati di coniugare la fame di potere e la montagna di soldi di fonte europea. Quindi una parte dell’opposizione, a giorni alterni ma anche con ambigua convinzione, afferma che non c’è di meglio che avere, come soluzione della presente crisi, un ampio governo di unità nazionale. Ovviamente mantiene ben taciuto il movente e ostenta l’alibi offerto dalla situazione reale del Paese: gli enormi problemi sociali ed economici strutturali, ai quali si aggiungono quelli direttamente legati alla pandemia. Una situazione oggettiva e complice che porta anche una minima parte dei cittadini italiani ad essere favorevole ad un governo dell’arco costituzionale.
Ma esso non funzionerebbe dato che nasce da appetiti famelici e non da un vero amore per il Paese e per gli Italiani. Non funzionerebbe date le recenti e lontane ferite verbali, frecce avvelenate, scontri anche fisici nei recinti parlamentari, invettive di disistima inviate attraverso i media tradizionali e i social. Non funzionerebbe dato che sono prevedibili interessi personali e di partito. Non funzionerebbe dato che i nostri parlamentari hanno più la vocazione del litigio che lo spirito di costruzione per il bene comune.
Insomma i dubbi sono tanti da portarci vicino alla certezza che un governo di unità nazionale, come un giocattolo apparentemente bello e ben fatto, si sfascerebbe in mille pezzi in mano a dei bambini capricciosi e litigiosi. Proprio quelli che l’hanno voluto. Mentre una seconda parte dell’opposizione vorrebbe andare alle urne, con relativa perdita di tempo, a dispetto dei milioni di poveri in crescita, a dispetto dei pugni inferti in faccia al futuro dei giovani, a dispetto dell’attività frenetica dei costruttori di bare.
Premesso quanto sopra, resta la strada, seppur faticosa, di costituire un governo Conte Ter: senza badare a quelli che hanno lanciato nei media l’immagine del premier quale player del pallottoliere mentre, per paradosso, hanno al centro dei loro pensieri poltroncine, sgabelli, strapuntini e numeri per poterli ottenere. Senza badare a quelli che cercano di spostare la responsabilità della crisi dall’avventuriero politico di Rignano ad un signore affabile ed affidabile, costruttivo e non politicante. Senza badare a chi crea ad arte dei “casini”, spinto dallo spirito del nomen omen o incoraggiato dalla sua presenza nei toto-premier.
Mentre è da tener presente che il nostro Paese sarebbe l’unico dell’Occidente a spingere, nell’attuale contesto epocale, i propri cittadini alle urne e l’unico ad avere la follia del kamikaze; l’Italia perderebbe l’ultimo barlume di fiducia da parte dell’Europa; un forte e ritemprato governo Conte Ter rappresenta anche la convinzione che soltanto un non-politico possa gestire bene il piano Marshall del terzo millennio.