Gli inquirenti e gli investigatori della Guardia di Finanza stanno cercando di mettere a fuoco i motivi del presunto mancato aggiornamento del piano pandemico, che è fermo dal 2006.
Cinque ore d’interrogatorio per il ministro della Salute, sentito come persona informata sui fatti dai pm che indagono sullla gestione dell’emergenza coronavirus in provincia di Bergamo. Si è conclusa nel primo pomeriggio l’audizione di Roberto Speranza da parte del procuratore aggiunto di Bergamo, Cristina Rota, in trasferta a Roma con un pool di pm. Trasferta, la seconda dall’apertura dell’indagine, necessaria per far luce sul capitolo che riguarda il piano pandemico, che è una legge dello Stato, e che ha comportato anche l’acquisizione di documenti e la testimonianza dei componenti del pool di esperti, tra cui il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro, che si è occupata all’indomani dell’’alert’ lanciato il 5 gennaio dell’anno scorso dall’Oms, dell’epidemia che ha colpito l’Italia e in modo pesante il Nord.
Da quanto si è saputo la deposizione di Speranza, durata per circa 5 ore, è avvenuta presso il Ministero in un clima “disteso” e di “serenità“. Si presuppone che le domande a lui e ai tecnici della sua squadra abbiano seguito un ‘canovacciò mirato. Infatti gli inquirenti e gli investigatori della Guardia di Finanza stanno cercando di mettere a fuoco i motivi del presunto mancato aggiornamento del piano pandemico, che è fermo dal 2006. E poi perché quello esistente e attualmente in vigore, sebbene datato, non è stato attivato nonostante l’Organizzazione mondiale della sanità avesse espressamente indicato di applicarlo. Speranza, che fin da subito aveva partecipato ad alcune delle riunioni della cosiddetta task force che ha lavorato fino al successivo 7 febbraio quando si insediò il Comitato Tecnico scientifico, avrebbe spiegato, tra le altre cose, che si fidava degli esperti nominati per far fronte all’epidemia.
Stesse domande, più o meno, quelle poste ai tecnici sentiti fino a tarda sera. I pm bergamaschi infatti nella sede della Guardia di Finanza in via dell’Olmata hanno ascoltato in mattinata il coordinatore del Cts Agostino Miozzo e l’ex direttore della prevenzione Donato Greco, colui che ha redatto il piano pandemico di 15 anni fa, e nel pomeriggio il direttore della prevenzione del ministero Gianni Rezza, il direttore scientifico dell’ospedale Spallanzani Giuseppe Ippolito e Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità: la sua audizione è ancora in corso. Il motivo per cui, come è già emerso da altri atti istruttori, non è stato attivato il piano pandemico sarebbe dovuto al fatto, questo avrebbero detto oggi alcuni degli esperti, che quello vigente riguardava l’influenza e non la polmonite che arrivava dalla Cina e di cui un anno fa ben poco si sapeva.
Dopo la trasferta di oggi e il materiale raccolto anche nelle scorse settimane, i pm dovrebbero cominciare a tirare le fila almeno su questo capitolo dell’indagine, che ha visto anche le convocazioni, come testi del vice direttore vicario dell’Oms Ranieri Guerra (avrebbe sostenuto che il piano era stato aggiornato nel 2017) e, tra gli altri, del segretario generale dello stesso ministero, Giuseppe Ruocco, e dell’ex capo della Prevenzione Caludio D’Amario. Il procuratore aggiunto Rota, all’uscita del ministero della salute, davanti a microfoni e taccuini si è limitata a dire che Speranza “ha risposto a tutte le domande. Certo che il ministro sapeva dell’esistenza del piano pandemico”.