Il bacino padano è il grande malato d’Europa. Lo confermano i dati sulle morti premature causate dall’inquinamento atmosferico pubblicati un paio di giorni fa da The Lancet Planetary Health: Brescia e Bergamo hanno il più alto tasso di mortalità da particolato fine in Europa, mentre Torino e Milano sono al terzo e quinto posto per mortalità da biossido di azoto. In Veneto è Vicenza la maglia nera; in Emilia-Romagna sono nove le città nella top100 delle più inquinate d’Europa. Siamo di fronte ad un’emergenza sanitaria oltre che ambientale. E i numeri spaventosi dei danni provocati dall’inquinamento ci dicono che il risanamento del bacino padano – l’area più inquinata d’Europa, dove vivono oltre 22 milioni di persone – va affrontata come prioritaria questione nazionale, una sorta di “Ilva di area vasta”.
Bisogna investire in tutti i settori di emissione dei gas che avvelenano l’aria che respiriamo: dalla mobilità motorizzata ai mega allevamenti intensivi; dalla produzione e impiego di energia da fonti non rinnovabili agli impianti di riscaldamento ad alte emissioni, per fare solo alcuni esempi. Occorrono quindi risorse per lo sviluppo della mobilità elettrica, delle fonti rinnovabili, dell’economia circolare; per la sostituzione delle caldaie alimentate da fossili con pompe di calore; per l’isolamento termico di case ed uffici; per la diffusione dei metodi di agricoltura climate smart.
Per farlo abbiamo davanti a noi un’opportunità irripetibile: gli oltre 223 miliardi di euro del Recovery Fund, una straordinaria disponibilità di risorse che “per statuto” guarda alla transizione ecologica. Purtroppo, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) approvato dal governo il 12 gennaio, pochi giorni prima delle dimissioni di Conte, tra le destinazioni di quote-parte del Recovery Fund non prevede un piano di risanamento ambientale del bacino padano. Anzi: nel complesso, le risorse destinate ad obiettivi green corrispondono al 31% dei fondi, mentre le indicazioni della Commissione prescrivono il 37%.
Per questo come Verdi chiediamo al governo che verrà – si spera al più presto, per non perdere il Recovery Fund – di stanziare risorse adeguate a questo piano antismog, associandole a target misurabili e verificabili di riduzione dei gas inquinanti. Sarebbe un modo per contribuire anche alla lotta contro l’emergenza climatica, visto che le fonti dello smog sono le stesse dei gas serra che fanno aumentare la febbre del pianeta all’origine dei cambiamenti climatici.
Senza mettere in campo risorse adeguate, la tanto sbandierata sostenibilità ambientale rischia di rimanere solo il proverbiale specchietto per allodole.