Non ha violato alcuna regola per il semplice fatto che una regola non c’è. O meglio: non c’è al Senato, ramo del Parlamento in cui Matteo Renzi è stato eletto nel 2018. Ma se il leader d’Italia viva fosse stato un membro della Camera la questione sarebbe stata diversa. A Montecitorio, infatti, esiste un codice di condotta che consente ai deputati di accettare il rimborso di “spese di viaggio, di alloggio e di soggiorno” solo nell’esercizio delle proprie funzioni. A Palazzo Madama, però, una legge simile non esiste. La trasferta in Arabia Saudita dell’ex presidente del consiglio riapre dunque il dibattito su un vulnus normativo nelle istituzioni italiane, già criticato più volte dagli organismi internazionali. Mentre in Italia scoppiava la crisi politica da lui stesso provocata, Renzi si trovava a Ryad dove avrebbe dovuto partecipare a un evento pubblico con il controverso principe Mohammed bin Salman. Quel dibattito – durante il quale Renzi si dice tra le altre cose “invidioso” del costo del lavoro in Arabia, terra che dal suo punto di vista può ospitare un nuovo Rinascimento – è stato registrato e trasmesso in differita: le dimissioni di Giuseppe Conte, infatti, hanno trovato impreparato il senatore di Rignano che, come raccontato dal Fatto Quotidiano, è tornato nottetempo in Italia a bordo di un volo privato pagato dal FII, Future Investment Initiative Institute, una Fondazione saudita creata all’inizio del 2020 per decreto dal Re dell’Arabia Saudita, Salman bin Abd al-Aziz Al Saud. È lo stesso organo che ha organizzato l’evento di Ryad, pomposamente ribattezzato “la Davos del Deserto“, e nel quale Renzi siede nell’advisory board. Una nomina che gli garantisce fino a 80mila dollari l’anno, come raccontato dal Fatto e dal quotidiano Domani.
Una questione di opportunità – Ora la questione è semplice: è normale che un ex presidente del consiglio, senatore in carica e leader di un partito, viaggi su un jet privato offerto dal fondo sovrano di un altro Paese? È opportuno che lo stesso uomo politico percepisca un compenso da una fondazione di uno Stato estero, un ente governativo che promuove gli interessi internazionali di quello stesso Stato? “La nostra risposta non può che essere che no. E francamente appare alquanto lunare che tutto questo, ad oggi, non sia specificamente normato”, dice Federico Anghelé, direttore di The Good Lobby. L’organizzazione no profit che raccoglie l’eredità di Riparte il futuro ha sollevato un problema di opportunità sul viaggio arabo del leader di Rignano. Il ragionamento è il seguente: “Come facciamo a essere certi che Renzi e gli esponenti di Italia Viva, il partito ex di maggioranza da lui guidato agiscano in piena autonomia quando sono chiamati a occuparsi dei rapporti dell’Italia con l’Arabia Saudita? Ed è opportuno che un senatore nel pieno delle sue funzioni offra consulenze retribuite a un altro Paese?”. Interrogativi irrisolti a causa di un vuoto normativo che da anni Bruxelles e Strasburgo ci rinfacciano.
Ce lo chiede l’Europa – È da 25 anni, infatti, che il Consiglio d’Europa chiede all’Italia di varare delle norme per disciplinare gli affari extra dei parlamentari. Nel 2016 la Camera ha varato un Codice di condotta ispirato a quello vigente al Parlamento europeo. Una scelta che nel 2018 era stata applaudita il Greco, il Gruppo di Stato contro la corruzione del Consiglio d’Europa, che però chiedeva di estenderlo anche al Senato, visto che “Palazzo Madama non ha adottato gli stessi provvedimenti di Montecitorio per promuovere l’integrità dei suoi rappresentanti”. In più Strasburgo ricordava di aver raccomandato a Roma “lo sviluppo di un solido insieme di restrizioni in materia di donazioni, regalie, manifestazioni di ospitalità, favori e altri benefici concessi ai parlamentari”. Ma ancora nel 2018 doveva prendere atto del fatto che “l’attuazione della presente raccomandazione sia ancora in una fase iniziale”, proprio perché “il Senato non ha compiuto alcun progresso in questo campo”.
“Se fosse un deputato avrebbe violato il Codice” – Quello stesso rapporto promuoveva il ddl Spazzacorrotti , che tra le altre cose vieta di “ricevere contributi, prestazioni o altre forme di sostegno provenienti da governi o enti pubblici di Stati esteri e da persone giuridiche aventi sede in uno Stato estero non assoggettate a obblighi fiscali in Italia”. Solo che si tratta di una norma applicabile ai partiti politici, non ai singoli parlamentari. È per questo che da tempo l’Europa ci chiede una legge più restrittiva che vieti ai regali ai politici. O almeno – come avviene a Montecitorio – imponga un po’ di trasparenza. “Se Renzi fosse stato un deputato avrebbe parzialmente violato il Codice di condotta della Camera“, spiega Anghelè, che sottolinea come l’articolo 1 dello stesso codice prevede che “nell’esercizio delle loro funzioni, i deputati agiscono con disciplina e onore, rappresentando la Nazione e osservando i principi di integrità, trasparenza, diligenza, onestà, responsabilità e tutela del buon nome della Camera dei deputati. Non ottengono né cercano di ottenere alcun vantaggio finanziario diretto o indiretto o altre gratifiche”. Ora: Renzi è andato in Arabia nell’esercizio delle sue funzioni di senatore? Sembrerebbe di no. In alternativa non avrebbe potuto ottenere un “vantaggio finanziario diretto“. E dunque – se fosse stato un membro della Camera – non avrebbe potuto accettare il volo privato per rientrare a Roma visto che lo stesso codice concede ai deputati di accettare il “rimborso delle spese di viaggio, di alloggio e di soggiorno” ma solo quando appunto “partecipano sulla base di un invito e nell’esercizio delle loro funzioni a eventi organizzati da terzi”.
Il codice di condotta della Camera – Lo stesso codice spiega poi che “ciascun deputato deve presentare una comunicazione al Presidente della Camera relativa alle cariche e agli uffici ricoperti alla data di presentazione della candidatura, alle attività imprenditoriali o professionali svolte e a ogni attività di lavoro autonomo o impiego privato”. In più gli onorevoli devono fare “una separata comunicazione” per “dichiarare la propria situazione patrimoniale all’inizio e alla fine del mandato. Alla dichiarazione devono essere allegate le copie delle dichiarazioni relative agli eventuali finanziamenti ricevuti”. È il caso di Renzi che – come ha documentato il Fatto – grazie alle sue attività di conferenziere ha visto crescere i suoi guadagni dal 2018, anno in cui è entrato per la prima volta in Parlamento. Tutte regole alle quali il leader di Italia viva avrebbe dovuto sottostare se fosse stato eletto a Montecitorio. Ma sta a Palazzo Madama dove – secondo il regolamento – “spetta al Consiglio di Presidenza l’adozione di un Codice di condotta dei Senatori, che stabilisce principi e norme di condotta ai quali gli stessi devono attenersi nell’esercizio del mandato parlamentare”. E il consiglio di presidenza del Senato non ha ancora adottato alcun codice. “Cosa si aspetta per colmare questo gap definendo una volta per tutte regole chiare e precise?”, chiede il direttore di The Good Lobby. Il rischio, prosegue Anghelè, è “doversi giustificare dall’accusa di essere un (parlamentare) lobbista al soldo di una potenza straniera. Attività considerata illecita in molti Paesi”.