L'ad Sgarzi parla di "provvedimento 'ad aziendam', che di fatto colpisce duramente solo Rwm Italia". Lo stabilimento di Domusnovas dell'azienda controllata dalla tedesca Rheinemetall era l'unico a produrre sulla base dell'autorizzazione rilasciata nel 2016 durante il governo Renzi - e già sospesa dal luglio 2019 - le bombe utilizzate contro lo Yemen. Rete Disarmo: "Inconsistenti le motivazioni del ricorso, le aziende che operano nel settore armamenti si mettono consapevolmente all’interno di norme chiare che delimitano il raggio d’azione di un settore che non può essere considerato standard"
Lo stop definitivo all’export di bombe dall’Italia verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi, arrivato venerdì come esito di una risoluzione parlamentare dello scorso dicembre, provoca la reazione dell’azienda che le produce. La Rwm Italia Spa, controllata dal gruppo tedesco Rheinmetall, annuncia ricorso contro il governo per la revoca delle licenze di esportazione peraltro già sospese dal 2019 lamentando una “disparità di trattamento rispetto alle altre aziende italiane del comparto Difesa”. L’ad Fabio Sgarzi parla di “provvedimento ‘ad aziendam’, che di fatto colpisce duramente solo Rwm Italia”: del resto lo stabilimento di Domusnovas (Sud Sardegna) dell’azienda con sede a Ghedi, nel bresciano, era l’unico a produrre sulla base dell’autorizzazione rilasciata nel 2016 durante il governo Renzi le bombe utilizzate contro lo Yemen. La Rete Pace Disarmo commenta parlando di “inconsistenza” di motivazioni per fare ricorso visto che in base alla legge 185 del 1990 “il governo e le autorità preposte hanno tutto il diritto di decidere una revoca legandola non solo ad eventuali mutate situazioni derivanti dalle aziende, ma soprattutto relative alle tipologie di armamento e ai Paesi destinatari”.
Sgarzi, dopo la notifica ricevuta dalla Uama, chiede l’annullamento e afferma che “la decisione, arrivata sul filo di lana, in un momento delicato per l’economia del Paese in piena pandemia e con un Governo dimissionario, risulta inaccettabile anche per la strumentalizzazione che se ne sta facendo a fini politici”, riferimento alla visita lampo di Matteo Renzi a Ryad la settimana scorsa, anche se appunto la firma di venerdì è solo l’esito di un iter che era già in corso. Per il manager “l’interruzione, per la prima volta, di contratti autorizzati da anni, fatta in maniera tale da colpire solo certi prodotti e solo certi Paesi, deve mettere in allarme tutta l’industria della Difesa e non solo: un precedente grave, sintomo di scarsa considerazione degli effetti generali delle decisioni prese, che perciò rischia di minare la credibilità dell’industria nazionale, a tutto vantaggio della concorrenza estera. Insomma, un colpo a un pezzo importante della nostra economia con sicuri riflessi negativi sul resto”.
Rete Disarmo dal canto suo ricorda che le legge “prevede una serie di criteri molto chiari, così come fanno le norme internazionali, per la concessione di autorizzazioni all’export e armamenti. L’esportazione di sistemi d’arma non è considerata un business usuale ma deve allinearsi alla politica estera dell’Italia e ai già ricordati i criteri, tra i quali figurano come principali l’impossibilità di vendere armi verso Paesi in stato di conflitto armato, Paesi in cui siano state verificate gravi violazioni diritti umani, Paesi che eccedono nella spesa militare”. E “proprio perché i criteri si applicano in base a situazioni che cambiano nel tempo (la produzione e le forniture militari per propria natura si protraggono per periodi medio lunghi), la stessa Legge 185/90 prevede la possibilità di revoca di tali licenze come esplicitato nell’articolo 15”. Dunque “le aziende che operano nel settore degli armamenti si mettono volontariamente e consapevolmente all’interno di norme chiare che delimitano il raggio d’azione di un settore economico che, come già ricordato, non può essere considerato standard. Devono quindi accettare il rischio d’impresa derivante da un mutamento delle condizioni dietro le quali vengono rilasciate le licenze. La stessa RWM ne è sempre stata consapevole, in particolare per le forniture verso i Paesi coinvolti nel conflitto yemenita, come testimoniano anche i bilanci societari degli anni recenti”.
Viene poi giudicata “non solo inconsistente ma addirittura provocatoria e offensiva l’ulteriore motivazione addotta dall’ad di RWM per giustificare il cambio di valutazione rispetto alla sospensione operata nel 2019 che l’azienda non aveva contestato”, cioè il fatto che “pur riconoscendo la complessità della situazione yemenita, il periodo 2019-2020 ha registrato molti passi concreti nella direzione di una stabilizzazione e pacificazione dell’area” visto che “basta leggere a riguardo le notizie riportate dai media di tutto il mondo, le prese di posizione e le analisi delle organizzazioni non governative impegnate nell’aiuto umanitario in Yemen, i documenti ufficiali delle Agenzie delle Nazioni Unite. In tutti questi documenti si rende evidente come quella dello Yemen sia la maggiore crisi umanitaria del pianeta e che la stragrande maggioranza degli yemeniti si trovi oggi in condizioni di povertà, di carestia, di precarietà dal punto di vista sanitario oltreché di pericolo indotto da un sanguinoso conflitto che continua tuttora”.
I 100 lavoratori diretti della fabbrica di Rwm sono già in cassa integrazione visto che, come ha sottolineato la Cgil, la produzione è già praticamente ferma dopo la sospensione di 18 mesi arrivata nel luglio 2019. Inoltre erano già stati tagliati 80 posti a termine non rinnovati a fine estate 2020. “Rispettiamo sempre le decisioni di tipo governativo, oltretutto basate anche su questioni etiche”, ha detto il segretario Filctem-Cgil del territorio Emanuele Madeddu. “Ma mi pare che si continuino ad affrontare i problemi a metà e chiediamo a chi governa quali sono le scelte che vengono messe in campo per tutelare il lavoro e i lavoratori”. Intanto, mentre un Comitato spontaneo continua a chiedere la riconversione della fabbrica, sul tavolo del Mise giace una proposta presentata a dicembre dalle delegazioni sarde di Donne Ambiente Sardegna e Sardegna Pulita, con Women’s International League for Peace and Freedom, con la quale si propone di realizzare a Domusnovas un Centro Caseario regionale al posto della fabbrica di ordigni bellici.
Rete Disarmo stigmatizza quello che definisce “il solito tentativo di nascondersi dietro la situazione dei propri dipendenti e all’usuale “ricatto occupazionale” per cercare di ottenere approvazione relativamente a un’esportazione che a nostro parere viola tutti i principi normativi e anche morali. Il loro licenziamento o meno non dipende certo dalla revoca del contratto con l’Arabia Saudita (che era da anni ampiamente prevedibile) come dimostra anche la scheda di analisi allegata”.