Dei caduti per mafia non bisogna ricordarsi solo nell’anniversario della morte. I giorni più giusti per onorarli, coi fatti, sono quelli in cui i politici salgono al Colle per la crisi di governo. Insomma, in Italia i governi cadono sulla giustizia, e il dato va letto con uno sguardo alla Storia, perché, senza risalire a Piazza Fontana, e restando agli ultimi 40 anni, vengono i brividi pensando a ciò che è successo: luglio ‘79: omicidio Ambrosoli; gennaio ‘80: omicidio Mattarella; agosto ‘80: strage di Bologna; aprile ‘82: omicidio La Torre; giugno ‘82: “suicidio” Calvi; settembre ‘82: omicidio Dalla Chiesa; luglio ‘83: omicidio Chinnici; dicembre ‘84: bomba sul Rapido 904 Napoli-Milano; marzo ‘86: avvelenamento di Sindona; marzo ‘92: omicidio Lima; maggio ‘92: strage di Capaci; luglio ‘92: strage di via D’Amelio; maggio ‘93: strage di via dei Georgofili; luglio ‘93: strage di via Palestro. Mi fermo qui. Aggiungendo un dato terribile e definitivo: maggio 2014: la Cassazione conferma la condanna, per concorso esterno in associazione mafiosa, di Dell’Utri fondatore di Forza Italia e “garante – dice la sentenza – dell’accordo tra Berlusconi e Cosa Nostra”.
Il sommario elenco mostra che abbiamo in Europa il triste primato di criminalità e morte. Nonostante questo – o proprio per “questa” atroce realtà – in Italia i governi cadono sulla giustizia. E’ accaduto molte volte, e sta accadendo ora sulla riforma Bonafede. Cosa dice questo incepparsi del governo, del Parlamento, e della politica sulla giustizia? La verità è che troppi si preoccupano di chi delinque invece che della legalità e del Paese. E’ questo il punto, e non è sopportabile che ancora oggi, mentre procedono le consultazioni al Colle, si neghi l’evidenza e si scarichi la responsabilità della crisi sul premier (“ha perso tempo”) e il ministro Bonafede: è il mantra dei giornaloni, attivi per la sostituzione di Conte e del guardasigilli.
Eppure, mai come in questi anni s’è lavorato alacremente contro la mafia, a Palazzo Chigi e Via Arenula; mai – ci pensi Mattarella prima di dare il nuovo incarico – s’è visto un contrasto alla corruzione così forte come la legge Spazzacorrotti (apprezzata da un uomo integerrimo come Gratteri); mai un impegno così coerente sulla giustizia e la certezza della pena; mai una corrispondenza così lineare tra programma e azione di governo. Di più: l’idea di giustizia incarnata da Bonafede è parte essenziale (costituente) del M5S. Non è un fatto di poco conto o qualcosa a cui si possa rinunciare. Si può perdere sul Tav e restare se stessi; abbandonare una certa idea di giustizia significa invece rinnegare la propria storia.
Dunque, che fare in queste ore? La situazione è complessa ma una via è giusto indicarla ai 5Stelle nei giorni della crisi: è quella che Indro Montanelli suggeriva nei momenti difficili agli elettori (vale anche per i leader): insomma, se Renzi davvero non pone veti (ed esce dall’ambiguità), turandosi il naso si accetti di risedersi al tavolo con lui. Lo so, è dura da ingoiare caro Alessandro Di Battista, ma il realismo e i numeri che mancano al Conte-ter lo impongono, e spaccare il Movimento su Renzi significa solo fare il suo gioco. Freddezza e razionalità, dunque.
Con un punto fermo, però: Bonafede non si tocca (per le ragioni dette), altrimenti tutti a casa e accada quel che accada: nessun governo che bari sulla giustizia può essere votato dal M5S. Per la legalità, e contro tutte le mafie, sono morte troppe persone nel nostro Paese. Urge non dimenticare – presidente Matterella – e non assecondare con mandati esplorativi, perdite di tempo, o, Dio non voglia, un incarico sbagliato, chi desidera rottamare soprattutto la giustizia.
Post Scriptum. Nel Pd c’è chi rema contro Conte e pensa a inciuci con B (che finge di non starci). Il nostro elenco di crimini che hanno devastato il Paese si chiude con Dell’Utri “garante dell’accordo tra Berlusconi e Cosa Nostra”. Il Caimano è garante (oggi) di un governo di unità nazionale. Uno così “merita” la Presidenza della Repubblica! Molti condividono e la legge non lo impedisce: Grandezza di Giovenale: “C’è chi, come prezzo del proprio misfatto, ebbe la forca, chi la corona”.