L’agenzia europea deputata al controllo delle frontiere esterne lascia temporaneamente il Paese, che ha violato i diritti dei migranti ai suoi confini. Dietro la decisione, potrebbe esserci una manovra politica della Commissione per fare pressione su Orbán. Ma il rischio è che si tratti di un atto puramente simbolico
Una svolta sorprendente, che crea un precedente storico: per la prima volta, Frontex, l’agenzia europea incaricata della sorveglianza dei confini dell’Unione, ha sospeso le sue operazioni in uno Stato Membro, l’Ungheria. La decisione è stata confermata al fatto.it dal quartiere generale di Varsavia, dove Frontex ha sede. Da parte dell’agenzia non c’è stata nessuna comunicazione pubblica in merito, né è stato definito il periodo di tempo in cui gli agenti resteranno fuori dal Paese.
È stato invece reso noto il motivo ufficiale di una scelta così netta, che deriva da una sentenza della Corte di Giustizia Ue del 17 dicembre scorso, in cui si stabilisce che il Paese magiaro non non ha rispettato le leggi comunitarie, impedendo ai migranti arrivati illegalmente ai suoi confini di presentare richiesta di asilo e respingendoli collettivamente nella limitrofa Serbia.
“Frontex intende riprendere le sue attività in Ungheria non appena la decisione della Corte sarà incorporata nella legislazione nazionale”, comunica l’agenzia. Nonostante la solida base giuridica su cui poggia, questa mossa è stata accolta con sorpresa dagli analisti.
“Si tratta di una decisione assolutamente imprevedibile”, dice al fatto.it il professor Giuseppe Campesi dell’Università di Bari, esperto dell’argomento e autore del libro “Polizia della frontiera. Frontex e la produzione dello spazio europeo”. Appare netto il cambio di rotta rispetto al passato: fin dal 2016, dai report del Fundamental Rights Officer (il dipartimento interno di Frontex che controlla il rispetto dei diritti umani) sono emerse le problematiche della politica migratoria ungherese, spiega il professore. “La posizione di Frontex è sempre stata che i suoi agenti non collaboravano con quelli ungheresi e quindi non erano responsabili di eventuali condotte inappropriate”.
In altri casi di palese violazione del diritto europeo, inoltre, Frontex ha continuato a cooperare con gli Stati membri: l’episodio più noto è quello della Grecia, che nel marzo 2020 aveva sospeso la possibilità di chiedere asilo ai propri confini, incorrendo in una chiara condanna da parte dell’Unhcr. Due giorni dopo, Frontex lanciò una missione nel Paese.
“Una scelta di questo tipo implica un giudizio fortemente negativo nei confronti dello Stato in questione”, afferma Campesi. Per l’esperto, fra i motivi che hanno portato alla sospensione potrebbe esserci la volontà di Frontex di migliorare la propria immagine in un periodo particolarmente turbolento. L’agenzia infatti è sottoposta a un’indagine dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf) e sulla stampa sono emersi dettagli di spese poco giustificabili da parte del personale negli ultimi anni, come un banchetto da 94mila euro.
Soprattutto, Frontex è responsabile, secondo un’inchiesta di Bellingcat pubblicata su varie testate europee, di aver effettuato respingimenti collettivi illegali, i cosiddetti pushback, nel tratto di mare fra Turchia e Grecia. Per questo motivo il suo direttore, Fabrice Leggeri, è finito nel mirino dalla Commissione Libe (Libertà Civili) del Parlamento Europeo e diversi deputati ne hanno chiesto le immediate dimissioni.
Al tempo stesso, dietro a una decisione così drastica potrebbe esserci la pressione, diretta o indiretta, della Commissione Europea. Anche se l’agenzia è guidata da un management board intergovernativo, formato da rappresentanti dei 27 Stati Membri, la Commissione ha il potere di sfiduciare il direttore, che viene nominato proprio da palazzo Berlaymont. Agli addetti ai lavori non è sfuggito il tweet compiaciuto della commissaria agli Affari Interni Ylva Johansson, che ha commentato favorevolmente la notizia.
Il 2021 è un anno cruciale per la politica migratoria europea: la Commissione spera di procedere con i negoziati fra i Paesi sul Pact on Migration, il pacchetto di norme per ridisegnare la gestione dei flussi diretti verso l’Europa, che comprende anche ricollocamenti di migranti in determinate situazioni di emergenza.
Su questo punto, il blocco dei Paesi di Visegrad, con l’Ungheria in testa, ha già messo in chiaro che non intende fare concessioni. Un’azione fortemente simbolica, come la sospensione delle operazioni di Frontex, potrebbe essere un segnale forte per portare Budapest a più miti consigli.
Ma il rischio, segnala Campesi, è proprio quello di un atto esclusivamente simbolico: il governo ungherese non ha bisogno degli agenti di Frontex per portare a termine le sue operazioni e non sembra essere troppo interessato a una reputazione sempre più compromessa nelle cancellerie europee.