Cultura

Mostre virtuali immersive, in Francia diventano “di Stato” mentre in Italia si va a rilento: perché sono già il futuro (e non c’entra solo la pandemia)

Spesso vengono chiamate "esperienze" e all'estero sono già molto usate. E i numeri lo testimoniano: le quattro aziende più virtuose hanno realizzato un fatturato che sfiora il mezzo miliardo di euro. Anche nel nostro Paese qualcosa si muove, ma il ministero per i beni e le attività culturali, almeno per ora, non sembra intenzionato a investirci

di Marco Ferri

La sorpresa è arrivata il giorno della Befana. Lo scorso 6 gennaio la Francia ha annunciato che le mostre immersive virtuali divengono un affare di Stato, perché a produrle sarà la Réunion des Musées Nationaux et du Grand Palais, società pubblica a carattere industriale e commerciale, dotata di autonomia finanziaria. La Rmn – Grand Palais oggi gestisce in Francia 34 musei (tra i quali il Louvre, il Rodin e il museo d’Orsay), ma nonostante ciò scommette su un futuro immersivo e virtuale fatto di grandi mostre, di immagini ed emozioni, per il quale c’è chi è disposto a fare la fila proprio come se si trattasse di un museo o di una galleria dove poter ammirare opere reali.

E l’Italia? Il ministero per i Beni e le attività culturali e per il Turismo sta pensando di assumere decisioni simili a quelle di Rmn – Grand Palais? Da fonti vicine al ministro per i Beni e le attività culturali, Dario Franceschini, si apprende che l’ipotesi pare abbastanza improbabile, nonostante l’attuale Direttore Generale dei Musei, Massimo Osanna, stia seguendo con interesse la vicenda, abbia frequenti incontri con docenti universitari e esperti e riceva tanti progetti in tal senso. Sui siti web di vari musei statali non mancano mostre digitali virtuali, anche perché i lunghi periodi di chiusura hanno creato un “bisogno” di cultura solo parzialmente soddisfatto da queste soluzioni virtuali, ma evidentemente non si può parlare di “esperienze immersive”, che sono tutt’altro.

Concepito durante l’ultimo decennio, questo genere di “mostra” – parola che sottintende una sorta di passività del visitatore di fronte all’opera d’arte, e infatti molto spesso la troviamo sostituita con “esperienza”, che allude invece a una partecipazione attiva di chi la vive – rappresenterà una parte rilevante del futuro. Lo dicono gli esperti, anche quelli meno pronti alle strambate culturali. Per almeno tre buon motivi.

Prima di tutto perché è prevedibile che le opere, soprattutto quelle più delicate e problematiche, viaggeranno sempre di meno, rendendo sempre più difficile la realizzazione di mostre in grado di “dire” qualcosa di nuovo al pubblico di studiosi e semplici visitatori, senza contare che i maggiori musei mondiali nel tempo si sono dotati di black list di opere imprestabili che non potranno mai comparire in mostre temporanee; anzi, l’avvento le immagini ad altissima risoluzione, soprattutto per gli studiosi significa poter studiare le opere con sempre più vantaggi e comodamente alla propria scrivania. Ci sono poi categorie di opere che per loro natura non possono viaggiare con la stessa frequenza di quelle pittoriche e lapidee, ovvero i disegni su carta, ai quali le luci dei riflettori invece di giovare, comportano solo problemi. Infine il terzo motivo, legato alla possibilità che queste “esperienze” virtuali utilizzino anche opere inamovibili o lontane, permettendo di fatto la realizzazione di mostre altrimenti “impossibili”: basta pensare alle “esperienze” virtuali immersive dedicate a Leonardo da Vinci e comprendenti la Gioconda.

Secondo alcuni, dopo un periodo di necessario rodaggio e messa a punto, si tratta di una nascente industria che ha a che fare sia con la tecnologia, sia con la cultura; anzi, è la tecnologia che fa del bene alla comunicazione e alla divulgazione culturale. E a dimostrarlo ci sono i numeri di visitatori delle poche aziende produttrici di queste esperienze immersive. La belga Exhibition Hub con sole tre mostre ha richiamato circa un milione di visitatori; la francese Culture Espace ha superato i 3 milioni (con l’Atelier des Lumiéres di Parigi che in un solo anno, tra il 2018 e il 2019, ha richiamato 1,4 milioni di visitatori, poco meno di quanti ne richiama la Galleria dell’Accademia di Firenze con il David di Michelangelo); l’australiana Grande Experience con 17 milioni di visitatori per 190 mostre (ovvero una media di 90mila visitatori ciascuna), la giapponese Team Lab con 3,5 milioni di visitatori nel primo anno (tra il 2018 e il 2019). Se poi consideriamo che i prezzi dei biglietti che oscillano tra i 15 euro per una mostra di marca belga e i 25 per quella targata Giappone, possiamo comprendere che parliamo di un giro d’affari che, per sole quattro aziende, sfiora il mezzo miliardo di euro. Non spiccioli.

E se in Italia per il momento non è ipotizzabile un impegno statale coordinato, non mancano esperimenti brillanti, come “Nel cerchio dell’arte” di Bolzano, uno spazio che sin dal 2012 propone mostre multimediali che offrono la possibilità di compiere inconsuete esplorazioni della storia dell’arte, attraverso modalità coinvolgenti e interattive. L’azienda leader del settore, in Italia, però, è sicuramente Crossmedia, che ha sede a Firenze e che, dopo un periodo di sola “importazione”, dal 2016 ha iniziato non solo a produrre le mostre immersive d’arte, ma anche a distribuirle in Italia e all’estero raggiungendo a tutt’oggi circa tre milioni di visitatori. Anzi, proprio a due passi da Ponte Vecchio, Crossmedia gestisce l’unico spazio espositivo privato della città – la medievale ex-chiesa di Santo Stefano al Ponte, ribattezzata Cattedrale dell’immagine -, offrendo ai visitatori, una variegato programma di “esperienze immersive multimediali” e dove da poco è tornata visibile la mostra virtuale immersiva “Van Gogh e i maledetti”, 60 minuti di esperienza multisensoriale con musica e immagini a 360 gradi fino a Pasquetta. Emergenza sanitaria permettendo, s’intende.

“Dal 2016 al 2020 abbiamo prodotto 10 titoli per altrettante esperienze immersive – dice Federico Dalgas, amministratore delegato di Crossmedia -, alcune delle quali in collaborazione esclusiva con Fondazioni internazionali, come quella di Magritte a Bruxelles e quella di Salvador Dalì a Gala-Barcellona. Abbiamo installato le nostre mostre in quattro continenti per circa 40 eventi della durata media di 120 giorni ciascuna. Ora ci stiamo concentrando ad aprire dei luoghi espositivi permanenti in giro per il mondo: ad aprile inauguriamo a Città del Messico il centro Plazo Castro di Carlos Slim e il prossimo giugno apriremo a Vancouver, Canada, un centro permanente con tecnologie avanzate. Il pubblico risponde bene a questo genere di proposte: gran parte del nostro target ha un’età media inferiore ai 30 anni e ci consideriamo dei divulgatori per un pubblico poco alfabetizzato nei confronti dell’arte. Nonostante i lockdown generalizzati – conclude -, nel 2020 abbiamo prodotto e installato sette mostre immersive, Inside Magritte a Seoul, Davinci Experience a Changsha, in Cina, e a Lugano, Klimt Experience a Locarno, Van Gogh e i Maledetti a Firenze, Monet Experience a Lucerna e a Città del Messico, per un totale di 630mila visitatori circa. In fin dei conti il 2020 non è andato malissimo”.

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