L’elenco delle celebrità del nuovo mondo post-covidico non sarebbe completo senza gli istruttori che hanno portato al successo la piattaforma Peloton. Così sostiene Vanity fair americano, indicando proprio tutti e trentatré gli allenatori senior di questa sorta di Netflix del fitness, il che forse è un’esagerazione. Ma sono più di uno, ormai, i personaggi che dalle lezioni online griffate dalla p che diventa ruota, rimbalzano su tutti i media degli Usa da mesi, come il coach più adorato dai divi dello sport, Alex Toissant, che è persino in affari con LeBron James, ramo integratori dietetici, o la reginetta dei post Robin Arzòn, che ha annunciato d’essere incinta, a quasi 40 anni, durante una lezione sulla cyclette, e di voler continuare regolarmente a lavorare, come in effetti sta facendo, nonostante l’evidente arrotondamento del suo corpo da ultramaratoneta, con grande ricaduta di commenti e inchieste sul tema ‘gravidanze e attività fisiche’.

Beyoncè, l’unica che era già una star prima d’essere ingaggiata per tenere un corso su Peloton, è solo l’ultima arrivata in questo mondo decisamente multirazziale, anzi tendente al nero, che si riunisce sotto l’insegna della curiosa parola Peloton (espressione ben nota agli appassionati del Tour de France, usata per indicare l’insieme dei ciclisti che sta come aggomitolato al centro del gruppo), preceduta da un intrigante logo, che ricorda vagamente la a chiocchiolata del mondo digitale. Peloton produce contenuti che gli utenti fruiscono sugli schermi molto funzionali delle sue preziose cyclette (da duemila dollari in su) e dei suoi vari attrezzi da palestra, pagando anche un abbonamento mensile, da 39 dollari come base minima. Eppure in pochi mesi ha sorpassato i 3 milioni e mezzo di utenti. Perciò se ne parla anche in quanto fenomeno che segna perfettamente il sempre più pesante e insostenibile fossato tra le classi ricche e gli altri, decisamente ingigantito nel dopo Covid. Qualche specialista americano lo chiama appunto “Peloton’s economics moat” e ne ha scritto puntualmente un esperto di Silicon Valley come Michele Masneri, sul suo Terrazzo di costume per il Foglio.

Del resto, anche l’attività sportiva e/o motoria sta uscendo completamente rivoluzionata dall’incredibile ‘esperimento sociale’ della pandemia. In Italia è diventata persino materia incandescente da dcpm e relative faq sul sito del governo, con polemiche ancora aperte per esempio sulle attività in montagna. Il Viminale peraltro ha chiarito che sono consentite le attività in montagna, all’interno della propria regione, in zona gialla e in zona arancione: resta solo in zona rossa il divieto tassativo di lasciare il proprio comune.

Resta che, anche in tema, i nostrani ‘happy few’ superano alla grande i Pelotoniani d’America: Cristiano Ronaldo, per dire, si è fatto ospitare in un albergo di lusso, formalmente non aperto, a Courmayeur, con la fidanzata, e poi l’ha caricata pure in motoslitta, come regalo di compleanno, per una gita in una valle che d’inverno è chiusa da una sbarra, la val Veny, sotto i ripidi pendii sul versante meridionale del Monte Bianco. Alla faccia di qualunque divieto nonché degli appelli del Soccorso alpino a lasciar perdere le attività e le zone a rischio: siderale.

All’opposto, la chiave del successo di Peloton è ben riassunta in una dichiarazione di Robin Arzòn che Kenzie Bryant ha scelto come titolo della sua inchiesta, “There’s an Intimacy to What We Do”, e attiene proprio alla sfera dell’intimità che sanno creare con gli utenti le stelle di questa nuova gigantesca palestra virtuale. Per tenere incollati anche ventimila ciclisti a faticare insieme dalle 6.30 di mattina, ciascuno da casa propria ma tutti incollati allo stesso schermo interattivo, ci vuole un talento che è uno strano miscuglio, spiega la giornalista di Vanity fair: le celebrità di Peloton mettono in condivisione pezzi di vita come gli influencer, usano il corpo a livello degli atleti professionisti, suscitano flussi di commenti come i conduttori di talk-show, interpretano il mood del momento come i dj, sanno recitare senza copione come le stelle dei reality, e hanno pure il carisma dei mattatori da grande palcoscenico.

Durerà questo fenomeno anche oltre la pandemia (se e quando mai ci sarà un “oltre”)? Intanto, questa rivoluzione che ha fatto leva sull’offerta innovativa di contenuti, ha sconvolto in prima battuta un settore, quello delle attrezzature da fitness, dove era leader l’azienda gioiello di Cesena Technogym. Portandosi subito sul crinale tra new media, tv, sport, moda e alimentazione, quindi intersecando tanti altri interessi, Peloton ha fatto quel passo in più che era evidentemente nell’aria.

Dall’America della classe agiata che fino ad oggi ha dettato le mode, la pandemia ha prodotto addirittura una nuova tipologia di celebrità e sta segnando una pagina inedita nella società tardo-capitalista dominata dall’industria culturale. Fatalmente la virtualizzazione anche delle attività fisiche prosegue la sua avanzata, anche se comincia a inquietare molti. “L’uomo è qualcosa di fluido e di modellabile, si può fare di lui ciò che si vuole“: lo diceva già Nietzsche, anche se non avrebbe mai potuto immaginare gli Oltreuomini newyorchesi del Terzo Millennio che sudano sulle Peloton.

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