“L’anima dialogante” in un Movimento 5 stelle di strappi. Quello “pacato” che non alza i toni. L’ortodosso e movimentista per eccellenza, uno che c’era dal giorno zero del M5s, da sempre la faccia più di sinistra. Se c’è una cosa che Roberto Fico si è costruito negli ultimi otto anni in Parlamento è il curriculum di progressista e mediatore. Una carta che dovrà giocare bene nelle prossime ore, quando per la seconda volta nella stessa legislatura dovrà svolgere il mandato esplorativo per capire se in Parlamento c’è una maggioranza praticabile. Ad aprile 2018 fu proprio lui a presentarsi al Colle dicendo che le interlocuzioni tra Pd e M5s avevano dato “esito positivo”. Ironia della sorte, ma neanche tanto, anche lì fu Matteo Renzi a mandare tutto all’aria presentandosi in diretta su Rai1 a dire che non era vero niente. Si ricominciò tutto da capo e si riparti con la Lega. Il seguito lo conosciamo, ma resta il fatto che Fico non è solo la terza carica dello Stato, ma è anche una delle poche pedine che il governo Conte ter può giocarsi per ricucire legami che al momento sembrano a brandelli. E’ vero, ci sono segnali di distensione, ma il rancore e l’acredine sono duri a passare. Spetta al presidente della Camera riuscire a decifrare le intenzioni dei partiti e capire se un futuro per questa maggioranza esiste davvero.
Il napoletano che aprì il primo Meetup: chi è – Classe 1974, Roberto Fico è laureato in Scienze della comunicazione e inizia la sua carriera come addetto stampa. Prima del grande ingresso nei palazzi della politica, Fico lo conoscono tutti come “quello del Meetup di Napoli“. E’ il 2005 e fonda uno dei primi luoghi di incontro per gli attivisti, folgorato da uno spettacolo di Beppe Grillo. Esistono sue foto a uno dei primi raduni di Sorrento (era il 2006), con un Luigi Di Maio giovanissimo e gli esponenti dei primi 40 Meetup tutti in una stanza. Preistoria di un Movimento che ora praticamente non c’è più, ma anche il precedente fondamentale per capire tutto quello che è venuto dopo. Le prime candidature nel 2010 e 2011: Regionali in Campania e Comunali a Napoli, si ferma all’1 per cento. Succede quel che succede e nel 2013 viene eletto alla Camera dei deputati. Nel suo primo mandato in Parlamento diventa presidente della commissione di Vigilanza Rai: poltrona fondamentale per un Movimento che ha da sempre uno slogan ambizioso come “fuori i partiti dalla Rai” e dove da leader dell’opposizione riesce a fare ben poco.
Si ricandida nel 2018 come parlamentare semplice e lo fa dopo aver digerito l’investitura a Di Maio come candidato premier. È ormai materiale d’archivio, ma i 5 stelle fecero le primarie online che videro un plebiscito per l’attuale ministro degli Esteri. Fico non condivise il modo e il metodo e in occasione di Italia 5 stelle a Rimini decise di non salire neanche sul palco, facendosi eliminare dalla scaletta degli interventi. E’ quello un momento chiave: Fico è amareggiato, deluso, isolato. Ma non lascia. Anzi, in privato accetta il dialogo con Di Maio e con una dirigenza di cui non condivideva e non condivide ogni scelta. Così si ricandida, viene rieletto e al momento delle nomine pesanti, l’ex capo politico lo premia (diranno i maliziosi, anche per tenerselo buono). E’ così che diventa presidente della Camera. “Roberto Fico è la storia del Movimento 5 stelle”, scrisse Luigi Di Maio subito dopo l’elezione ed è esattamente la frase che serve a spiegare le tante fasi che verranno dopo. E anche il motivo per cui Fico non ha mai davvero mollato. Di lui ricordano tutti il primo giorno da leader di Montecitorio: si presentò al lavoro in autobus, creando non pochi problemi alla scorta e guadagnandosi le critiche degli avversari. Un simbolo, dirà. Come la decisione di rinunciare all’indennità di presidente. Era l’inizio dell’epoca 5 stelle al governo.
Il volto istituzionale: dalle frizioni con la Lega alla distensione con il Pd – In questi anni di presidenza della Camera Fico lo abbiamo sentito parlare poco, come si addice in realtà a una carica istituzionale: pochi interventi e solo su temi accuratamente selezionati. La prima scelta di rottura con i colleghi l’ha fatta sul fronte della comunicazione, evitando uscite scomposte, retroscena e protagonismi. La fase più complessa è quella del governo gialloverde: Fico cerca di stare nell’ombra, ma sceglie di fare alcune uscite contro la linea dell’esecutivo Lega-M5s. Il fronte a cui tiene di più è sicuramente quello dei migranti: è uno dei primi a chiedere lo sbarco dalle navi Aquarius e Diciotti, e sul tema non mancano gli scontri con Matteo Salvini. Un episodio tra tutti: la cerimonia del 2 giugno, quando Fico dice che è la festa della Repubblica e “anche dei migranti”. Frasi che gelano la Lega e che lo fanno iniziare ad apprezzare dal centrosinistra. Fico si fa poi sentire sul No alla Tav: lo dice più volte, lo ricorda ai suoi più che altro, e lo fa ogni volta che il tema torna nel dibattito sul governo. Era un pilastro per il primo Movimento 5 stelle e su quello non riesce a tacere.
La festa dell’Unità – I suoi no alla Lega e al centrodestra, le uscite centellinate ma nette, lo illuminano agli occhi dell’altro emiciclo del Parlamento. E il 3 settembre 2018 fa un esordio sul palco più difficile di tutti: quello della festa dell’Unità di Ravenna. A onor di cronaca, poche settimane dopo va anche ad Atreju alla festa di Fratelli d’Italia, perché, dice, “il presidente della Camera parla con tutti”. Ma quell’uscita pubblica in casa dei democratici fa un gran scalpore perché di fatto rompe un tabù e tende una mano ai nemici giurati del Partito democratico. Sul palco con lui c’è Graziano Delrio e le telecamere immortalano una folla di militanti dem che applaude e chiede selfie. “L’ultima volta a una Festa dell’Unità per me è stata 15 anni fa”, scherza Fico dando la conferma che da quelle parti ha bazzicato spesso. Su quel palco Fico però, non prende mai le distanze dal suo governo. Chi si aspettava barricate, si rende conto che non c’è più grillino di lui e vanno bene le critiche, ma fino a un certo punto.
Il caso Regeni – A farlo piacere a sinistra ha poi contribuito sicuramente l’aver scelto la battaglia a fianco della famiglia Regeni. A novembre 2018 è Fico a decidere di interrompere i rapporti con il Parlamento egiziano: un atto simbolico certo, ma che dà un segnale soprattutto all’esecutivo gialloverde e perfino al collega Luigi Di Maio, che aveva visto Al-Sisi pochi mesi prima e se ne era uscito con quella frase infelice: “Il presidente ha detto: Giulio uno di noi”. E proprio a Montecitorio, tre anni dopo l’uccisione del ricercatore friulano nasce la commissione d’inchiesta sulla sua morte, presieduta dal deputato di Leu Erasmo Palazzotto. “Lo Stato è accanto ai genitori“, dice periodicamente Fico. Più una promessa che un fatto, di cui lui cerca di farsi portavoce. E’ incontestabile però che, al momento, è rimasto l’uno dei pochi esponenti politici con cui i genitori di Giulio Regeni accettano di avere rapporti.
I buoni rapporti con Grillo e Conte. E cosa potrebbe succedere ora – La verità è che ci hanno provato per anni a dire che Fico avrebbe potuto essere il leader dei dissidenti, quella fantomatica “ala fichiana” che non si è mai veramente materializzata. Perché Fico, rifiutandosi di lasciare il Movimento che ha contribuito a fondare, di fatto ne è diventato uno dei pilastri. Chi lo sa bene è Beppe Grillo: se non ha mai nascosto le preferenze per il carattere istintivo di figure come Di Battista, il garante del Movimento sa che ha in Fico uno dei figli più fedeli. Ma non solo. E’ a suo modo un garante di un’essenza di M5s che a volte perfino Grillo sembra non vedere più. Un esempio? Era il 2016, Italia 5 stelle a Palermo, e l’allora membro del direttorio, pronunciò dal palco un discorso fuori programma: “Mai più leader”, disse. “Dobbiamo tornare alle origini”. Sembrò un alieno allora, figuriamoci oggi.
Ma Fico non piace solo a Grillo. Il presidente della Camera ha anche buoni rapporti con il presidente Conte. E’ un aspetto che non è mai finito molto sui giornali, complice anche la decisione di mantenere il massimo riserbo sul tema. Ma i colloqui tra i due sono frequenti: Fico e Conte condividono molte visioni su alcuni temi fondamentali dell’agenda di governo. Ma soprattutto anche su un modo “pacato” e rispettoso delle istituzioni di fare la politica. E proprio quel legame di fiducia ora si prepara ad affrontare la prova più complessa: Fico va a fare il mediatore per Conte e lo fa da esploratore, ma pure da esponente 5 stelle. Dovrà tutelare i paletti del suo Movimento, ma anche ascoltare le richieste di un Pd che teme di essere schiacciato tra i due avversari. E soprattutto fronteggiare i continui rilanci di un Matteo Renzi che gioca a distruggere e non certo a costruire nuove maggioranze. La prova è complessa. E a Fico potrebbe succedere di tutto: dal fallimento con le urne dietro l’angolo all’incoronazione del Conte ter. O, perché no, se non ci fosse alternativa, diventare lui stesso quella figura che mette d’accordo tutti. “Non è mai successo a un esploratore fino adesso”, commentano le fonti più vicine al presidente della Camera. Ma siamo nella terza Repubblica e ormai sappiamo che può succedere di tutto.