Il presidente turco pensava che, per il solo fatto di aver riaperto il dossier iraniano, la Casa Bianca avesse dimenticato tutti i temi divisivi: il sistema missilistico acquistato dai russi S-400, il conflitto ideologico e materiale con la Nato, le partite giocate dalla Turchia in Siria e in Libia, le rivendicazioni turche sul gas nell'Egeo e a Cipro. E invece queste due nomine vanno nella direzione dell'unità atlantica che ha caratterizzato l'era Obama
Ci sono due nomi tra quelli scelti da Joe Biden per la nuova amministrazione che sono indigesti alla Turchia: si tratta di Lloyd Austin, nuovo segretario alla Difesa, e Brett McGurk, coordinatore per il Medio Oriente e il Nord Africa. Recep Tayyip Erdogan pensava che, per il solo fatto di aver riaperto il dossier iraniano, la Casa Bianca avesse dimenticato tutti i temi divisivi: il sistema missilistico acquistato dai russi S-400, il conflitto ideologico e materiale con la Nato, le partite giocate dalla Turchia in Siria e in Libia, le rivendicazioni turche sul gas nell’Egeo e a Cipro. E invece queste due nomine vanno nella direzione dell’unità atlantica proiettata in Medio Oriente che ha caratterizzato anche la gestione obamiana, senza far rientrare Ankara nel progetto F-35 proprio mentre la Turchia prova a riallacciare diplomaticamente con Usa, Ue e Israele.
Lloyd J. Austin III è il primo afroamericano a guidare il Pentagono. Nel 2013, durante la presidenza di Obama, era stato nominato a capo del Centcom, il maggiore comando interforze delle forze armate americane. Ha gestito come supervisore il ritiro delle truppe dall’Iraq dopo una sanguinosa guerra, mantenendo un profilo sempre poco avvezzo alla comunicazione e alle uscite mediatiche. Altri volti, al posto suo, si sono susseguiti sui giornali americani mentre la guerra terminava. Inoltre ha guidato da comandante tutte le forze americane in Medio Oriente, diventando così il regista della campagna a stelle e strisce contro lo Stato Islamico, dopo che gli insorti avevano conquistato una fascia di territorio nella Siria orientale e nel nord dell’Iraq: era il giugno 2014.
Certo, c’è la sua firma sul progetto poi approvato da Obama per una maggiore campagna aerea dalla base di Incirlik, in Turchia, che però nell’ultimo biennio è progressivamente uscita dal cono di interesse americano, a vantaggio di Creta, per le forti tensioni sulla doppia partita dei missili russi S-400 e degli F-35.
Più evidente è la postura di Brett McGurk che si è apertamente schierato in passato a favore della presenza militare americana in Siria e critico verso Ankara per il suo ruolo in tutta quella macroregione. È stato inviato degli Stati Uniti nella coalizione internazionale per combattere lo Stato Islamico alla fine del 2018, ruolo che ha lasciato dopo la decisione di Donald Trump di ritirare le truppe americane dalla Siria settentrionale. McGurk ha pubblicamente sostenuto in passato che il presidente turco potrebbe aver dato rifugio all’ex leader di Daesh Abu Bakr al-Baghdadi, ucciso poi con un’operazione statunitense.
Sull’Iran poi ha già ribadito l’esigenza di avere un approccio multilateralista. Per cui la Turchia teme che le mosse di McGurk possano proseguire nel solco tracciato sotto l’amministrazione Obama: ovvero legare con un fil rouge le forze statunitensi alle Forze democratiche siriane (Sdf) dominate dai curdi, quegli stessi curdi che si sono rivelati preziosi alleati contro il terrorismo islamista, ma che sono stati messi nel mirino da Erdogan anche con il nulla osta della Casa Bianca di Trump.
Un posizione, quella della nuova amministrazione americana sul dossier turco, che è stata ampiamente anticipata dallo stesso Joe Biden nelle scorse settimane quando aveva descritto il presidente Erdogan come un “autocrate”, dicendo che avrebbe sostenuto e “incoraggiato” i leader dell’opposizione turca a sconfiggerlo “con il processo elettorale”.