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Giorgio Armani: “È necessario mettere da parte gli interessi particolari a favore della collettività. Il mio metodo? Concretezza e determinazione”

Lo stilista è stato tra i primi ad intuire, nel febbraio del 2020, la gravità di questo virus e a scendere in campo poi, nei mesi a seguire, per aiutare gli ospedali e la sua Milano. Città dove, dice, “energia e volontà hanno una particolare concentrazione” e per questo ha deciso ora di ripartire proprio da qui, per dare un segnale forte non solo al mondo della moda, ma agli stessi milanesi, a cui ha dedicato la sua nuova collezione di Alta Moda Armani Privé

di Ilaria Mauri

“Uno degli insegnamenti di questa pandemia è che è necessario coordinarsi davanti ai problemi: solo agendo come collettività, nazionale e transnazionale, si può davvero trovare una soluzione”. A quasi un anno dallo scoppio dell’epidemia di Covid, Giorgio Armani tira le somme dei mesi che ci siamo lasciati alle spalle e guarda al futuro. Non entra nel merito dell’instabilità del Paese, ma sottolinea che l’unica strada sia quella di, “mettere da parte gli interessi particolari per favorire quelli della collettività”. Parole che ricordano quelle del discorso di fine anno del presidente Sergio Mattarella. “Concretezza e determinazione” sono gli antidoti di Re Giorgio per affrontare questa fase di transizione che stiamo vivendo, caratterizzata da un’incertezza su tutti i fronti.

Lo stilista è stato tra i primi ad intuire, nel febbraio del 2020, la gravità di questo virus e a scendere in campo poi, nei mesi a seguire, per aiutare gli ospedali e la sua Milano. Città dove, dice, “energia e volontà hanno una particolare concentrazione” e per questo ha deciso ora di ripartire proprio da qui, per dare un segnale forte non solo al mondo della moda, ma agli stessi milanesi, a cui ha dedicato la sua nuova collezione di Alta Moda Armani Privé. Così, ha aperto le porte del suo seicentesco Palazzo Orsini per presentare, nei sontuosi saloni affrescati da Andrea Appiani, abiti che incarnano nelle loro trame l’anima di questa città, aristocratica ma glamour, sofisticata e altera. Ma la primavera che sboccia in un tripudio di ricami sulle gonne e i corpetti che vediamo sfilare, offre a Giorgio Armani lo spunto per lanciare un accorato appello per la salvaguardia del nostro pianeta: “Abbiamo solo questa nostra Terra e senza di lei noi non siamo nulla”.

Signor Armani, ha deciso di portare per la prima volta la sua Alta Moda qui, a Milano, in Italia. In questo momento di appiattimento generale, ritiene che l’haute couture, con la sua perfezione e la sua ricercatezza, possa ridare spazio e centralità al ‘bello’ nella nostra società?
Penso che per uscire da un momento così buio – un’oscurità reale e anche metaforica – ci vogliano volontà, impegno, determinazione. Ma occorre anche la bellezza: un’ispirazione che, nei secoli, ha creato l’idea stessa di cultura. L’alta moda che a qualcuno può sembrare anacronistica, in termini di approccio è invece progressiva e permette di rimanere connessi con il bello, ed è quanto mi interessa adesso. Mi piace l’idea di poter dare sfogo all’immaginazione per dar vita a capi preziosi con i quali creare un legame non solo estetico, ma anche affettivo. Ecco, è questa emozionalità che vorrei emergesse per il pubblico, soprattutto quello più giovane. Il bello, quando è vero, commuove ed emoziona.

Ripartire da Milano, per Milano: come immagina il futuro prossimo della città?
Lo immagino duro, come un po’ per tutto il paese, ma ho la certezza che l’industriosità dei cittadini, mi auguro con l’aiuto delle istituzioni, sarà la chiave per risolvere gli indubbi problemi. Noi Italiani abbiamo una risorsa unica: nei momenti difficili troviamo risorse che in altri momenti mancano. A Milano energia e volontà hanno una particolare concentrazione.

Milano stava affrontando la sua età dell’oro prima che il virus bloccasse la sua corsa: riuscirà a riprendersi? Qual è, a suo parere, la strada da seguire?
Sì, Milano riuscirà a riprendersi, su questo non ho il minimo dubbio. Ci vorrà del tempo, forse, ma avverrà. Non ripiegarsi è parte del DNA stesso della città. La strada da seguire, a mio avviso, è di concertazione: creare un vero senso di comunità cittadina, transgenerazionale e di connessione tra le diverse categorie. Metterei da parte gli interessi particolari per favorire quelli della collettività. Si tratta dell’occasione perfetta per farlo.

Qual è lo spirito e quali le difficoltà nel lavorare in un momento così particolare, con un’instabilità totale sotto tutti i punti di vista?
Lo spirito è quello di sempre: concretezza e determinazione, che sono anche i migliori antidoti all’instabilità. Si va avanti con piani brevi, perché così ci è concesso. Non smetterò di dirlo: le crisi sono anche delle magnifiche opportunità.

Il settore della moda è stato tra i più colpiti dalla crisi economica: il 2021 sarà davvero l’anno della rinascita? Quali sono le condizioni per costruire un futuro solido?
Il mio desiderio è che lo sia. Ma perché ciò avvenga dobbiamo aver imparato qualcosa. Dobbiamo di certo migliorare la sostenibilità nel modo in cui creiamo e realizziamo i prodotti, che a loro volta dovrebbero essere belli e durevoli; dobbiamo essere più sostenibili anche nel modo in cui gestiamo i nostri uffici e come costruiamo e gestiamo i nostri negozi. Anche il consumatore dovrà essere educato e responsabilizzato a un acquisto più consapevole. L’industria, a mio parere, è da tempo in attesa di una resa dei conti. Trovo preoccupanti lo spreco, l’eccesso di prodotto di scarsa qualità, l’approccio guidato dal marketing che può portare a una disconnessione con ciò che il consumatore desidera veramente. Per costruire un futuro solido, il sistema della moda deve trovare una misura più umana, promuovendo creatività e buone pratiche: in questo senso la couture è la perfetta espressione di tale mentalità. Non sto dicendo che dobbiamo tornare alle creazioni su misura, ma dovremmo far nostro il convincimento che la bellezza non ha tempo e che la moda usa e getta non è alla lunga l’idea migliore.

Si diceva che questa pandemia ci avrebbe reso migliori, secondo lei cosa ci ha lasciato davvero in eredità?
La pandemia, e la crisi che questa ha innescato, non penso ci abbiano reso migliori, ma ci ha insegnato e ci sta insegnando tanto. Il monito principale è che dobbiamo rispettare il pianeta, senza forzarne i delicatissimi equilibri. È poi nostro dovere consegnarlo il più possibile integro a chi verrà dopo di noi. Il mio impegno per l’ambiente, in questo senso, è strettamente legato all’idea che è da sempre alla base del mio lavoro: le cose belle e fatte bene sono sostenibili perché durano di più. E il Gruppo Armani, in una visione circolare, lavora da tempo seguendo questa filosofia, per assicurare che il suo sviluppo avvenga nel modo più corretto. Un altro insegnamento di questa pandemia è che è necessario coordinarsi e concertarsi davanti ai problemi: solo agendo come collettività, nazionale e transnazionale, si può davvero trovare una soluzione. L’egoismo è un carattere molto umano, ma infinitamente distruttivo.

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