“Temo tuttavia che sia più un argomento per attaccarmi personalmente non riuscendo a rispondere sui contenuti”. Matteo Renzi risponde così al Corriere della Sera che, in una lunga intervista, gli pone un’unica domanda sul suo viaggio in Arabia Saudita come speaker ad una conferenza del Future Investment Initiative, nel quale è anche membro dell’advisory board, e che ha acceso un dibattito infuocato, almeno sui social. Eh sì, sulla maggior parte dei giornali non è stata scritta neanche una riga né è stata presa in considerazione l’idea che quel viaggio non fosse in linea con il ruolo che ha Renzi, cioè di senatore della Repubblica.
A far storcere il naso è il fatto che proprio questi giornali che non hanno scritto neanche una riga siano quelli che alzano sempre la voce contro le emittenti televisive arabe, colpevoli di essere asservite ai regimi che le finanziano. Come se la scelta di questi giornaletti italiani di censurare ogni commento critico contro l’ex premier non fosse a conti fatti l’esecuzione di una direttiva che arriva dai proprietari delle testate.
Tuttavia, secondo il Renzi pensiero, questa non sarebbe altro che una campagna – l’ennesima – fatta per attaccarlo a livello personale, non possedendo altri contenuti.
Ecco, Renzi, io desidero darti una lezioncina sulle basi del Medioriente e di ciò che è uno stato dittatoriale e ciò che non lo è, consapevole che negli ultimi giorni hai fatto cascare il governo Conte per motivazioni prettamente personali, che hanno il loro nucleo in una smania di centralità, di egocentrismo.
Numero uno, dire che l’Arabia Saudita è “il luogo per un nuovo rinascimento” è – e te lo dico da arabo – una considerazione falsa, che nega l’esistenza delle violazioni dei diritti umani. Nelle piazze, forse vicino a dove hai tenuto questo intervento, vengono ancora eseguite condanne a morte. Senza dimenticare chi è in carcere, come Raif Badawi, arrestato nel 2012 e colpevole di aver “insultato l’islam attraverso canali elettronici”, nonché, quindi, di essere un apostata.
L’Arabia Saudita, come la maggior parte, ahimè, dei paesi arabi, non rispetta il dissenso. Potevi chiedere a Bin Salman che fine hanno fatto fare a Jamal Khashoggi, giornalista, entrato nel consolato saudita di Istanbul e mai più uscito…se non a pezzi.
Dire poi che “l’Arabia Saudita è un baluardo contro l’estremismo islamico” significa negare che dopo il petrolio questo paese è stato il maggior esportatore di estremismo. Si guardi in Siria, dove una rivoluzione pura, autentica, facente parte delle primavere arabe che non hai saputo riconoscere è stata piegata da un regime che riscuote simpatie anche nel tuo piccolo partito e da estremisti islamici finanziati proprio da Riad.
Hai parlato di “Vision 2030” e del “costo del lavoro in Arabia Saudita che invidi” senza sapere che quel costo è semplicemente il frutto di un sistema di caporalato che sfrutta fino all’osso i lavoratori stranieri. Molti progetti, certamente bellissimi, sono portati a termine dagli schiavi del terzo millennio. Lo sviluppo economico – e questa è la base – non può essere portato avanti da una classe di lavoratori oppressi (è anche uno degli argomenti storici della sinistra).
Come ex presidente del consiglio esiste una morale e una etica che deve rispecchiare i principi su cui si fonda la nostra Italia. Già con al Sisi, durante una intervista con Barbara Serra, avevi incensato quel dittatore che è colpevole della morte di un nostro connazionale. Oggi ti trovi a tapparti la bocca davanti a un monarca despota, in nome di cosa? Di quattro spicci per pagare il mutuo?
Il Medioriente è più complesso di quello che ti è stato mostrato fra quelle quattro mura. E’ in tumulto e in una fase di transizione in cui c’è una parte della popolazione, chiamata società civile, che cerca ancora ascolto. Grida e rivendica i diritti inalienabili da dentro le celle, dai campi profughi e da case distrutte. I suoi figli sono arrivati fino alle porte dell’Europa ed è immorale incensare regimi che sono responsabili di questo esodo biblico.
La vera sfida del secolo è cominciare a mettere in campo una politica estera basata sul rispetto dei diritti umani come merce di scambio. Anche se i petroldollari fanno gola.