Solo tre giorni fa l'Iss aveva confermato che si tratta dell'unica Regione "a rischio alto". Non a caso è rimasta in zona arancione a differenza di quasi tutta Italia, diventata gialla a partire da oggi. Ora i vertici della Regione hanno deciso di correre ai ripari. Nel capoluogo stop alle lezioni in presenza a partire da domani e fino al 14 febbraio
Che la situazione epidemiologica in Umbria non fosse affatto buona era emerso già tre giorni fa, quando l’Istituto superiore di sanità ha rilasciato il suo monitoraggio settimanale avvertendo che soltanto la Regione del centro Italia è “a rischio alto“. Non a caso è rimasta in zona arancione a differenza di quasi tutta Italia, diventata gialla a partire da oggi. Ora i vertici della Regione hanno deciso di correre ai ripari: durante una riunione dell’Anci, il Servizio igiene e sanità pubblica territoriale ha dato indicazioni “cogenti” a 31 Comuni umbri, quasi tutti in provincia di Perugia, di adottare misure per limitare i contagi Covid. A partire dallo stop alle lezioni in presenza delle scuole di ogni ordine e grado. Il primo a muoversi è stato proprio il sindaco del capoluogo, Andrea Romizi, che ha fermato l’attività didattica in presenza da martedì 2 fino a domenica 14 febbraio. La decisione è stata presa in accordo con i vertici della Regione “al fine di tutelare la salute di tutta la comunità perugina in osservanza del parere del Cts e del Commissario emergenza Covid”.
Gli alunni con disabilità, si legge nell’ordinanza, potranno comunque proseguire le lezioni in classe, mentre sono escluse le attività di laboratorio che continueranno in modalità a distanza. Sulla scorta del testing già intrapreso per gli studenti delle scuole superiori, l’amministrazione sta poi valutando la possibilità di avviare lo stesso percorso anche per i ragazzi delle scuole primarie di tutto territorio comunale, al fine di anticipare il rientro a scuola, di concerto con le autorità sanitarie. “L’Amministrazione comunale – prosegue la nota – seguirà con attenzione l’evolversi della situazione epidemiologica al fine di procedere ad una revisione del provvedimento in accordo con le autorità sanitarie locali”.
Nel frattempo ulteriori provvedimenti sono stati presi dall’ospedale del capoluogo, che ha bloccato l’accesso ai reparti non Covid di visitatori, congiunti e assistenze come ulteriore misura di contenimento della pandemia. Lo ha annunciato la Direzione generale dell’Azienda ospedaliera. Il provvedimento ha l’obiettivo di “potenziare” quelli già in atto. In particolare visitatori e congiunti potranno consegnare eventuali beni personali di prima necessità al personale infermieristico di reparto dalle 12 alle 13. Per le assistenze l’accesso alle aree di degenza – spiega il Santa Maria della Misericordia – potrà essere “attentamente valutato” da parte del medico specialista e del coordinatore infermieristico “limitatamente ai casi di assoluta necessità e dopo avere fatto un’analisi rischi-benefici”. Nel caso venga eccezionalmente concesso l’accesso al caregiver, prima del rilascio del badge autorizzativo personale – è stato annunciato ancora dall’Azienda ospedaliera -, verrà sottoposto a test rapido antigenico “da ripetersi con cadenza costante”.
Tutte misure che si sono rese necessarie di fronte a un andamento della curva epidemiologica che non accenna a flettersi, tra l’Rt sopra 1 nel suo livello medio e un’incidenza di 362.35 casi per 100mila abitanti su base bisettimanale. Anche a livello ospedaliero la situazione non è buona. Come conferma l’Agenas, Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, al 31 gennaio i posti letto occupati in terapia intensiva da malati Covid sono pari al 26% a livello nazionale. Cala ancora, a livello nazionale, il numero di posti letto in terapia intensiva occupati da malati Covid. Gli ultimi dati dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) e relativi al 31 gennaio vedono la percentuale scendere al 26% (rispetto al 28% dello scorso 24 gennaio), ovvero 4 punti sotto il livello d’allerta fissato al 30%. Ma 6 regioni continuano a superare questa soglia considerata critica: quella con la percentuale più alta è proprio l’Umbria (42%).