Negli ultimi tre mesi, come riportato da diversi colleghi, sono aumentate le denunce verso i medici e gli operatori sanitari. In particolare si mettono sotto accusa le fasi dell’emergenza sanitaria ove i pronto soccorso e le case di riposo erano sotto pressione. Quando si tratta di questioni relative alla salute è giusto indagare e ben vengano i controlli, ma l’elemento che dovrebbe permanere è la descrizione umana del professionista coinvolto e la sua possibilità di discolparsi: descrivere l’operatore sanitario come un mostro che uccide, senza alcuna motivazione logica e psicologica, è un’aggressione alla sua immagine di essere umano.

Se vengo accusato di aver ucciso qualcuno per rabbia, gelosia, avidità o altre emozioni umane, viene divulgata l’immagine comprensibile di un “me”, portatore di emozioni. Se, al contrario, vengo descritto come qualcuno che uccide senza motivo, solo per sfizio, ecco che compare il mostro.

Si tratta del classico meccanismo mediatico di “creare mostri” per fare audience o per avvalorare le tesi accusatorie. Se poi il mostro è un medico, meglio, visto che in questo momento il popolo, di fronte ai ritardi, alle privazioni e alla penuria di denaro cerca qualcuno da odiare.

Anche i giudici e i giornalisti dovrebbero stare molto attenti nelle loro descrizioni degli denunciati. C’è voglia di sfogarsi per le restrizioni alla libertà, per la mancanza di soldi e di lavoro e i medici, dopo essere stati additati come eroi, fanno presto ad essere esposti al pubblico ludibrio come diavoli. Si tratta di un classico meccanismo psicologico: prima si innalza sugli altari chi ci deve accudire e salvare, ma appena qualcosa va male e le morti continuano, chi prima era osannato viene gettato nella polvere. Si fa strada, inconsciamente, una collusione con l’ideologia complottistica: i morti non sono dovuti al virus, ma ai medici che li uccidono appositamente.

Mi vengono in mente i casi in cui venivano fermate le ambulanze perché alcuni facinorosi pensavano che girassero a vuoto, con le sirene spiegate, solo per incutere terrore oppure le distruzioni dei pronto soccorsi ad opera di parenti di una persona deceduta. L’esigenza all’informazione, sacrosanta, non può assolutamente essere negata, ma è etico che avvenga in modo responsabile; a mio parere la persona messa sotto accusa deve essere descritta dai media nella sua umanità e non come un mostro (la legislazione, tra l’altro, considera la persona incriminata innocente fino a fine dei tre gradi di giudizio). Inconsciamente ognuno di noi, quando si rivolge al medico, è come se regredisse a fasi infantili nelle quali la madre era dispensatrice di vita (il latte) o di potenziale morte (la mancanza del latte). Soprattutto quando ci troviamo in pericolo di vita, il medico non viene più sentito come un essere umano, ma come colui che, in modo onnipotente, ci può salvare o condannare.

Per questo motivo le pulsioni affettive o distruttive verso i sanitari sono così forti da farli apparire quasi degli dei nel momento in cui ci salvano o, viceversa, diavoli se non lo fanno.

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