Ha subito rischiato uno stop di due settimane il procedimento per il crollo del Ponte Morandi: il gip dice no alla richiesta dei legali di rinviare fino all'acquisizione del software utilizzato dagli esperti. Sarà messo a disposizione degli avvocati entro venerdì, ma intanto l'udienza va avanti. Il procuratore aggiunto D'Ovidio: "Possibili alcune archiviazioni. Chiusura indagini? Possibile in primavera"
Ha subito rischiato uno stop di due settimane il procedimento per il crollo del Ponte Morandi. Nel giorno della prima udienza dell’incidente probatorio, gli avvocati delle difese avevano chiesto 15 giorni di tempo per acquisire i nuovi dati emersi dal software – che non era disposizione delle parti – dei file sorgenti usati per il calcolo dei tiraggi. Il giudice per le indagini preliminari Angela Nutini ha disposto il deposito e l’acquisizione del software usato dai periti per i calcoli confluiti nel maxi-documento in cui gli esperti affermano che i controlli e la manutenzione “avrebbero impedito il crollo” e che dal 1993 non c’è stato “nessun intervento sul pilone caduto”.
Dopo essere rientrato in camera di consiglio, il giudice non ha rinviato l’udienza facendo cominciare subito la relazione e discussione sulla prima parte della perizia. Il software verrà consegnato entro venerdì e gli avvocati potranno studiarlo. Oggi è il primo giorno del secondo incidente probatorio con il confronto in aula fra periti, consulenti, avvocati difensori e procura di Genova per il crollo del viadotto che il 14 agosto 2018 costò la vita a 43 persone.
La perizia rappresenta la tappa fondamentale del secondo incidente probatorio, che deve far luce, appunto, sulle cause del cedimento. Il primo incidente probatorio, concluso ad agosto 2019, aveva evidenziato uno stato diffuso di corrosione dei cavi d’acciaio degli stralli, i tiranti che collegavano la piattaforma stradale alla sommità della pila 9, quella crollata. Nelle 467 pagine a disposizione delle parti si indagano anche altri aspetti oltre a controlli e manutenzione: gli esperti criticano vari aspetti della gestione del ponte negli anni, complicando la posizione del concessionario – Autostrade per l’Italia – la cui strategia difensiva punta tutto sull’esistenza di difetti congeniti della struttura.
Gli indagati nell’inchiesta – coordinata dal procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi, e condotta dall’aggiunto Paolo D’Ovidio e dai pm Walter Cotugno e Massimo Terrile – sono 71 tra ex vertici e dirigenti di Autostrade e di Spea (la società del gruppo che si occupava delle manutenzioni) e del ministero delle Infrastrutture. Le ipotesi di reato sono, a vario titolo, omicidio colposo plurimo, disastro, attentato alla sicurezza dei trasporti e infine – com’è emerso negli scorsi giorni – la più grave fattispecie di crollo doloso. “Vediamo come va l’incidente probatorio. È una attività parecchio importante. Poi verosimilmente le indagini potrebbero essere chiuse in primavera”, ha detto D’Ovidio.
“Non è escluso che la lista degli indagati – ha continuato il magistrato – possa essere sfrondata al momento della chiusura delle indagini, con l’archiviazione di alcune posizioni. La perizia del gip non indica le singole responsabilità, quello toccherà a noi”. Egle Possetti, presidente del Comitato per le vittime del Ponte Morandi che nella tragedia perse la sorella, il cognato e i nipoti ha detto: “Noi siamo qui per tutti, per tutti gli italiani, lotteremo con i denti. Io la perizia l’ho letta e quindi siamo fiduciosi. Mi dispiace perché c’era un progetto per migliorare l’iter giudiziario e ora con la crisi di governo si è bloccato tutto”.