I risultati, pubblicati sull'European Journal of Epidemiology, indicano che il bilancio ufficiale del surplus di decessi registrato lo scorso anno potrebbe essere distorto. I dati fanno riferimento al peridio tra l'ottava e la 26esima settimana del 2020
Per avere una stima attendibile dell’eccesso di mortalità per Covid 19 in Italia non basta fare un semplicissimo confronto numerico con gli anni precedenti. Ma è necessario tenere conto anche dell’evoluzione demografica. Ce lo suggerisce uno studio condotto da Emilio Gianicolo, ricercatore italiano che lavora all’Istituto di biometria, epidemiologia e informatica dell’Università Johannes Gutenberg di Magonza, in Germania.
I risultati, pubblicati sull’European Journal of Epidemiology, indicano che il bilancio ufficiale del surplus di decessi registrato lo scorso anno potrebbe essere distorto. L’errore è evidente anche nel breve periodo di tempo considerato nello studio di Gianicolo: tra l’ottava e la 26esima settimana del 2020 i morti in eccesso sarebbero stati 33.035, 643 decessi in meno rispetto al bilancio ufficiale delle vittime Covid-19 segnalato per questo periodo. “Nel nostro lavoro, come in altri lavori condotti in questo periodo, abbiamo confrontato – racconta Gianicolo – i tassi di mortalità settimanali del 2020 con i tassi registrati negli anni dal 2015 al 2019. Ma a differenza di altri lavori abbiamo tenuto conto dell’evoluzione demografica della popolazione italiana, che ha per esempio registrato negli ultimi anni una poderosa crescita di maschi ultraottantenni. Ignorare questo aspetto può condurre a stime distorte”.
In particolare, nello studio i ricercatori hanno riscontrato un eccesso pari al 14% della mortalità nei primi sei mesi del 2020 in confronto allo stesso periodo 2015-2019. “Dalla fine di febbraio sino alla terza settimana di aprile si osserva un incremento della mortalità in entrambi i generi”, specifica Gianicolo. “Tra i maschi con più di settanta anni tale incremento è ancora più marcato”, aggiunge. È probabile che la pandemia abbia cambiato profondamente la distribuzione demografica dell’Italia. “All’inizio del 2020, le persone con più di 80 anni erano circa 4,4 milioni. I quasi 25mila decessi in più registrati nel periodo analizzato rispetto a quelli attesi in funzione del quinquennio precedente incidono certamente sulla demografia, soprattutto nelle aree del paese più colpite, come per esempio la provincia di Bergamo”, sottolinea Gianicolo. La colpa sarebbe della pandemia, anche se non sempre in modo diretto. “L’incremento della mortalità è in gran parte attribuibile all’effetto diretto della pandemia”, conferma Gianicolo. “Vi è, tuttavia, anche da tener conto del fatto che durante la pandemia, come documentato in letteratura, l’accesso a cure per tumori e malattie cardiovascolari ed in generale per patologie diverse dal Covid-19 sia stato limitato. La cancellazione di procedure diagnostiche – continua – o il loro ritardo può essersi tradotto in un incremento della mortalità. Da non sottovalutare, infine, gli effetti psicosociali della pandemia, anch’essi documentati in Italia e che si traducono nell’aumento di consumo di droghe ed alcool”.
Lo studio di Gianicolo ha però fatto emergere anche un altro dato interessante, quasi controintuitivo e cioè che, nel periodo considerato, il tasso di mortalità fra i giovani è stato più basso rispetto agli anni precedenti, quelli senza l’emergenza Covid-19. “Tra le persone con meno di 50 anni, ed in particolare tra quelle con meno di 29 anni, i tassi di mortalità nel primo semestre del 2020 sono stati inferiori all’atteso. Noi ipotizziamo che questa riduzione possa essere associata alla minore mortalità sul lavoro e per incidenti stradali durante il lockdown”, riferisce il ricercatore. Ipotesi, questa, che potrà essere verificata non appena l’Istat avrà pubblicato anche i dati della mortalità specifica per causa. “Un altro effetto positivo dei lockdown, oggetto di valutazione a livello internazionale, è il miglioramento della qualità dell’aria nelle città, che si traduce fin da subito in benefici per la salute individuale e collettiva”, evidenzia lo scienziato.
Una cosa è già chiara: la pandemia ha fatto emergere le fragilità dei sistemi sanitari di ogni paese, compreso il nostro. “La crisi pandemica ha messo in evidenza punti di debolezza del sistema su cui è necessario assolutamente agire”, dice Gianicolo. “I dipartimenti di prevenzione e di epidemiologia, ridotti al lumicino a causa dei tagli che si sono succeduti nel tempo, sono necessariamente da potenziare. Inoltre, aree del paese, più deboli in termini di strutture sanitarie, come le regioni meridionali, sono state letteralmente graziate – aggiunge – dalla minore intensità del contagio. Considerato che tali fenomeni epidemici potrebbero verificarsi anche in futuro, bisogna agire immediatamente per potenziare la capacità di risposta anche delle aree più arretrate del paese”. Secondo lo scienziato, la pandemia ha fatto emergere in Italia anche la necessità di investire nell’integrazione di sistemi informativi. “Ciò permetterebbe di acquisire in tempi rapidi informazioni utili alle decisioni”, dice. “È inoltre indispensabile che le istituzioni pubblichino i dati primari su cui sono basate le analisi che guidano le decisioni, in maniera che tali analisi si possano replicare. In Germania, per esempio, è pubblico il dato giornaliero, a livello della singola struttura ospedaliera, del numero di posti letto in terapia intensiva occupato da pazienti Covid-19. Su questo campo – conclude Gianicolo – anche in Italia nelle ultime settimane si sono fatti notevoli passi avanti, grazie anche alle spinte dal basso”.