Il nostro sistema alimentare globale è il primo driver della perdita di biodiversità, con l’agricoltura che, da sola, rappresenta una minaccia per 24mila delle 28mila specie a rischio di estinzione, ossia l’86%. Di fatto, oggi, il tasso globale di estinzione delle specie è più alto del tasso medio degli ultimi 10 milioni di anni. Partendo dai dati relativi agli effetti del sistema alimentare non solo sulla biodiversità, ma anche su terra occupata dall’agricoltura, distribuzione di biomassa, cambiamento climatico e altro ancora, in un report presentato oggi in un evento on-line dal think tank britannico Chatham House, in collaborazione con Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) e Compassion in World Farming, si chiede con urgenza una riforma del sistema alimentare. Un percorso basato su tre azioni interdipendenti: spostare i modelli globali verso diete con più vegetali, isolare e proteggere le aree naturali e condurre pratiche agricole in maniera più rispettosa della natura. Come quella biologica, fatta bene. La rivoluzione del sistema vegetale viene, dunque, indicata come una strada necessaria. Anche perché, nel caso degli allevamenti per esempio, è insostenibile una conversione a biologico di tutti quelli attualmente esistenti, necessari per far fronte alla domanda globale di carne. E allora, bisogna partire da quest’ultima. E ridurla.
IL DILEMMA DELLA CARNE E LE CONTRADDIZIONI DELL’EUROPA – Eppure, di recente, la Commissione Europea ha investito 3,6 milioni di euro in una campagna che invita allo stile di vita ‘carnitariano’, basato sulla carne rossa. Non si tratta di una scelta incoerente rispetto agli obiettivi del Green Deal europeo? “Sì, concordo” risponde a ilfattoquotidiano.it Philip Lymbery, amministratore delegato di Compassion in World Farming, secondo cui “gli investimenti nella promozione della carne da parte dell’Ue sono completamente in contrasto con l’azione necessaria per trasformare il nostro sistema alimentare in modo che possa garantire diete salutari e sostenibili da agricoltura rigenerativa”. La pandemia, con le emergenze sul clima e sulla biodiversità, hanno fatto emergere ancora di più, secondo l’ad di Ciwf “un urgente bisogno di mettere fine all’allevamento intensivo e ridurre il consumo di carne, latte e prodotti caseari”.
GLI EFFETTI DEL SISTEMA ALIMENTARE GLOBALE – Ma l’attuale sistema alimentare è il frutto “di secoli di paradigma del ‘cibo a basso costo’ – spiega Susan Gardner, direttrice della divisione ecosistemi dell’Unep – al fine di produrre più cibo, più velocemente e a prezzi più bassi senza tenere in considerazione i costi nascosti per la biodiversità e le sue funzioni essenziali per la vita e per la nostra salute”. Il risultato, raccontato nel dossier, è che circa un quarto delle specie nella maggior parte dei gruppi di animali e piante è già minacciato di estinzione. Dal 1970, le popolazioni di mammiferi, uccelli, pesci, anfibi e rettili sono diminuite in media del 68%. Gli impatti della produzione di più cibo a costo più basso non si limitano solo alla perdita di biodiversità. Attualmente, la coltivazione di cereali e l’allevamento occupano il 50% della terra del pineta che non è deserta. Solo tra il 1980 e il 2000, 42 milioni di ettari di foresta tropicale nell’America Latina sono andati perduti a causa dell’allevamento bovino, mentre 6 milioni di ettari sono andati perduti a causa delle piantagioni di palma nel Sud-est asiatico. L’agricoltura connessa con l’allevamento occupa oggi il 78% della terra utilizzata in agricoltura in tutto il mondo. Dal 1970 il peso collettivo dei mammiferi selvatici è diminuito dell’82%, mentre i polli oggi rappresentano, per massa, il 57% di tutti gli uccelli (e gli uccelli selvatici rappresentano il 29% del totale). Ma il sistema alimentare globale è anche un importante driver del cambiamento climatico, rappresentando circa il 30% delle emissioni prodotte dall’uomo. L’agricoltura connessa all’allevamento contribuisce al 16,5% dei gas serra emessi ed è anche il maggiore produttore di due delle tre delle più importanti fonti di gas serra prodotti da attività umane: il metano (44% delle emissioni) e l’ossido di azoto (53% delle emissioni).
LA TUTELA DELLE AREE NATURALI E LE NUOVE PRATICHE AGRICOLE – Oltre al cambiamento del sistema alimentare globale, le altre due azioni suggerite sono l’isolamento e la protezione del maggior numero possibile di aree naturali (“evitare di convertire terra per usi agricoli”) e l’adozione di pratiche agricole più rispettose della natura e a sostegno della biodiversità, limitando l’uso di additivi e sostituendo le monocolture con pratiche basate sulle policolture. “Il futuro dell’agricoltura – commenta Philip Lymbery – deve essere rispettoso della natura e rigenerativo, e le nostre diete devono diventare più vegetali, sane e sostenibili”. Come ricorda il professore Tim Benton, direttore della Chatham House di Londra “la più grande minaccia alla biodiversità deriva dall’uso intensivo del suolo – la conversione di habitat naturali in terre da coltivare o su cui allevare intensivamente – e questo è dovuto alla domanda di cibo sempre più ricco di calorie, ma povero dal punto di vista nutrizionale. Questi prodotti sono alla base di un sistema alimentare dispendioso che non riesce a nutrirci, mina la biodiversità e porta al cambiamento climatico”.
I NUOVI RISCHI DEGLI ALLEVAMENTI INTENSIVI – Sul fronte degli allevamenti, “in un momento in cui gran parte del mondo continua a combattere la pandemia di Covid-19 – commenta Philip Lymbery – non è mai stato così ovvio che il benessere delle persone e degli animali, selvatici e d’allevamento, è intrecciato”. Ma il problema degli allevamenti intensivi pone anche un’altra questione, più attuale che mai. Il Fondo Monetario Internazionale stima che più di 11.700 miliardi sono stati impegnati a livello globale per sostenere la ripresa dalla crisi del Covid-19. Una cifra, solo per fare un esempio, pari a decine di migliaia di volte il costo annuale stimato per arrestare la deforestazione in Amazzonia e fra 28 e 48 volte il costo annuale della mitigazione climatica attesa per il 2030. Ma la pandemia è anche un campanello d’allarme. Lo ricorda Jane Goodall, tra i partecipanti all’evento on-line. Messaggera della pace per l’Onu, antropologa ed etologa inglese famosa in tutto il mondo, attraverso il Jane Goodall Institute, si occupa dello studio e della protezione dei primati in diverse zone del pianeta. “Le condizioni disumane di affollamento degli animali non solo causano intense sofferenze a questi esseri senzienti (che hanno, dunque, tutte le capacità di sentire cosa accade loro, ndr) – spiega – ma permettono il trasferimento di agenti patogeni dall’animale all’uomo rischiando nuove malattie zoonotiche”.