Alla fine sarà un “governo del presidente“. Guidato dall’uomo il cui nome viene evocato praticamente dall’inizio della crisi politica: Mario Draghi. Dopo che Matteo Renzi ha rovesciato il tavolo delle trattative facendo fallire il mandato esplorativo di Roberto Fico, Sergio Mattarella ha annunciato di voler “conferire al più presto un incarico per formare un governo che faccia fronte con tempestività alle gravi emergenze non rinviabili“. Poco dopo ha convocato al Quirinale l’ex presidente della Banca centrale europea per mercoledì alle 12. Toccherà a lui presiedere quello che il capo dello Stato ha definito come un “governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica“. Un esecutivo del presidente visto che il capo dello Stato ha rivolto “un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché” gli “conferiscano la fiducia“.
La scelta (obbligata) del presidente – Si chiude così dunque la crisi politica scatenata da Italia viva. Dopo quattro giorni di consultazioni, Fico è salito al Quirinale per comunicare a Mattarella che “allo stato attuale permangono distanze alla luce delle quali non ho registrato l’unanime disponibilità di dare vita ad una maggioranza”. Un faccia a faccia brevissimo, circa 20 minuti, quello tra la terza e la prima carica dello Stato, che sancisce il fallimento dell’esplorazione della terza carica dello Stato. E che ha riconsegnato nelle mani del Qurinale la regia della crisi. Il capo dello Stato aveva già osservato nel pomeriggio come le trattative tra il Pd, i 5 stelle, Leu e Italia viva fossero prossime al naufragio. Dopo aver incontrato Fico ha quindi riflettuto meno di un’ora prima di presentarsi ai giornalisti e tenere un discorso lungo poco più di sette minuti. Il presidente aveva due opzioni: portare il Paese a elezioni anticipate o nominare un governo tecnico che si occupasse dell’emergenza sanitaria, economico e sociale. Dopo aver spiegato perché non considerava percorribile la prima ipotesi, il capo dello Stato ha comunicato di aver scelto la seconda. Una scelta che, con gli elementi sul tavolo del Colle, sembra quasi obbligata. Ma andiamo con ordine.
Le due strade del presidente –Dopo aver confermato l’esito negativo del mandato di Fico – che ha svolto un mandato “impegnato, serio e imparziale – il presidente ha spiegato di avere “adesso due strade, fra loro alternative”. Quali? “Dare, immediatamente, vita a un nuovo Governo, adeguato a fronteggiare le gravi emergenze presenti: sanitaria, sociale, economica, finanziaria. Ovvero quella di immediate elezioni anticipate”. La seconda è la strada che il capo dello Stato non ha seguito. È per questo motivo che il presidente ha dedicato la maggior parte del suo tempo a spiegare perché il voto anticipato non era una soluzione percorribile. “Questa seconda strada va attentamente considerata, perché le elezioni rappresentano un esercizio di democrazia – ha chiarito l’inquilino del Colle -Di fronte a questa ipotesi, ho il dovere di porre in evidenza alcune circostanze che, oggi, devono far riflettere sulla opportunità di questa soluzione“. Quali sono queste circostanze? Intanto che “il lungo periodo di campagna elettorale – e la conseguente riduzione dell’attività di governo – coinciderebbe con un momento cruciale per le sorti dell’Italia”.
Coronavirus, Recovery, allarme sociale: perché non si può tornare alle urne – Un momento fondamentale per diversi motivi, e il capo dello Stato li ha elencati tutti: “Sotto il profilo sanitario, i prossimi mesi saranno quelli in cui si può sconfiggere il virus oppure rischiare di esserne travolti. Questo richiede un governo nella pienezza delle sue funzioni per adottare i provvedimenti via via necessari e non un governo con attività ridotta al minimo, come è inevitabile in campagna elettorale. Lo stesso vale per lo sviluppo decisivo della campagna di vaccinazione, da condurre in stretto coordinamento tra lo Stato e le Regioni“. Ma non è solo un’emergenza sanitaria a sconsigliare il ritorno al voto. “Sul versante sociale – tra l’altro – a fine marzo verrà meno il blocco dei licenziamenti e questa scadenza richiede decisioni e provvedimenti di tutela sociale adeguati e tempestivi, molto difficili da assumere da parte di un Governo senza pienezza di funzioni, in piena campagna elettorale”. Poi ovviamente c’è il Recovery. “Entro il mese di aprile va presentato alla Commissione Europea il piano per l’utilizzo dei grandi fondi europei; ed è fortemente auspicabile che questo avvenga prima di quella data di scadenza, perché quegli indispensabili finanziamenti vengano impegnati presto. E prima si presenta il piano, più tempo si ha per il confronto con la Commissione. Questa ha due mesi di tempo per discutere il piano con il nostro Governo; con un mese ulteriore per il Consiglio Europeo per approvarlo. Occorrerà, quindi, successivamente, provvedere tempestivamente al loro utilizzo per non rischiare di perderli”. Un sorta di programma a cronometro fatto di scelte che “un governo ad attività ridotta non sarebbe in grado” di fare. “Per qualche aspetto neppure potrebbe – ha sottolineato il custode della Carta – E non possiamo permetterci di mancare questa occasione fondamentale per il nostro futuro”.
“Anche col voto anticipato servono mesi per un governo” – È per tutti questi motivi che Mattarella ha escluso le elezioni anticipate. Anche perché in caso di ritorno alle urne sarebbe necessario un periodo molto lungo prima di avere un nuovo esecutivo nel pieno delle sue funzioni. E qui l’inquilino del Quirinale è entrato nel dettaglio: “Va ricordato che dal giorno in cui si sciolgono le Camere a quello delle elezioni sono necessari almeno sessanta giorni. Successivamente ne occorrono poco meno di venti per proclamare gli eletti e riunire le nuove Camere. Queste devono, nei giorni successivi, nominare i propri organi di presidenza. Occorre quindi formare il Governo e questo, per operare a pieno ritmo, deve ottenere la fiducia di entrambe le Camere. Deve inoltre organizzare i propri uffici di collaborazione nei vari Ministeri. Dallo scioglimento delle Camere del 2013 sono trascorsi quattro mesi. Nel 2018 sono trascorsi cinque mesi”. Quindi anche con il voto anticipato “si tratterebbe di tenere il nostro Paese con un governo senza pienezza di funzioni per mesi cruciali, decisivi, per la lotta alla pandemia, per utilizzare i finanziamenti europei e per far fronte ai gravi problemi sociali”.
“In altri Paesi si è votato obbligatoriamente. Poi sono aumentati i contagi” – Ma non è solo una questione di tempi e compiti che “sono ben presenti ai nostri concittadini, che chiedono risposte concrete e rapide ai loro problemi quotidiani”. Mattarella ha ricordato che un ritorno alle urne nei prissimi mesi avrebbe dovuto fare i conti col fatto che “ci troviamo nel pieno della pandemia. Il contagio del virus è diffuso e allarmante; e se ne temono nuove ondate nelle sue varianti”. E le elezioni “non consistono soltanto nel giorno in cui ci si reca a votare ma includono molte e complesse attività precedenti per formare e presentare le candidature. Inoltre la successiva campagna elettorale richiede – inevitabilmente – tanti incontri affollati, assemblee, comizi: nel ritmo frenetico elettorale è pressoché impossibile che si svolgano con i necessari distanziamenti”. Qualcuno dirà: perché allora altri Paesi sono andati comunque alle urne? Mattarella ha previsto anche questa obiezione: “In altri Paesi in cui si è votato – obbligatoriamente, perché erano scadute le legislature dei Parlamenti o i mandati dei Presidenti – si è verificato un grave aumento dei contagi. Questo fa riflettere, pensando alle tante vittime che purtroppo continuiamo ogni giorno – anche oggi – a registrare”. È per tutti questi motivi che il presidente della Repubblica ha scelto di non imboccare la strada del ritorno alle urne. A ben pensarci era una strada sbarrata.