Sarà per i “pasticci” combinati durante la sperimentazione o per le frequenti e imprudenti dichiarazioni alla stampa, ma quello che doveva essere il vaccino anti-Covid che avrebbe dovuto salvarci da questa terribile pandemia, è ora diventato il meno popolare. Molti gli scettici, anche nella comunità scientifica, e poche le persone disposte a farlo. In verità a sembrare poco convinta dal vaccino di Astrazeneca è la stessa Agenzia italiana del farmaco (Aifa) che, pur avendo autorizzato sabato scorso il siero, ha stilato una lunga lista dei soggetti a cui è sconsigliato sottoporsi a questo vaccino: da tutti i diabetici a chi soffre di obesità grave, dai cardiopatici ai malati di cancro fino ai pazienti con patologie ematiche. Senza contare che il via libera “resta preferenzialmente per la popolazione tra 18 e 55 anni e senza patologie gravi, per la quale sono disponibili dati più solidi”, precisa l’Aifa. “Si attendono – continua – maggiori evidenze sul rapporto beneficio/rischio del vaccino prima di suggerirne la somministrazione nei soggetti di età più avanzata”. La precedenza andrebbe a chi ancora lavora: operatori scolastici, militari e forze dell’ordine in primis. E infatti si comincerà da insegnanti e tutto il personale della scuola, militari e forze dell’ordine.
Ancora più drastica la posizione dell’immunologa Antonella Viola: “Rinuncerei del tutto al vaccino di AstraZeneca”, dice in una intervista al Fatto Quotidiano. “Hanno avuto una comunicazione non corretta con annunci non supportati dai fatti – spiega la scienziata – hanno commesso errori nei trial clinici, hanno prodotto un siero con efficacia limitata, non hanno presentato dati sufficienti per le persone con più di 55 anni… mentre gli altri, Pfizer Biontech e Moderna su tutti, hanno lavorato bene. In questo momento abbiamo due vaccini che sono vicini a un’efficacia del 95%, che possono essere rimodulati in breve tempo rispetto alle varianti del coronavirus Sars Cov2 , bisogna puntare su quelli”. Secondo Viola, il vaccino di Astrazeneca mettere a rischio la possibilità di raggiungere l’immunità di gregge in breve tempo “con la sua bassa efficacia, 60%”.
Nel frattempo l’azienda e i ricercatori di Oxford che hanno sviluppato il “vaccino della discordia” continuano a sostenere il loro lavoro, rilasciando dichiarazioni e diffondendo nuovi dati. Andrew Pollard, direttore dell’Oxford Vaccine Group, precisa che sono state registrate “buone risposte immunitarie” negli anziani, anche se mancano ancora i dati sulla sua esatta efficacia. Lo scienziato in questo modo replica a quanti hanno raccomandato il vaccino solo per una fascia della popolazione, escludendo gli anziani. “Il punto è che abbiamo meno dati sugli anziani, motivo per cui le persone hanno meno certezze sul livello di protezione (del vaccino, ndr)”, chiarisce. “Ma abbiamo buone risposte immunitarie negli adulti più anziani, molto simili a quelle negli adulti più giovani: la protezione che vediamo è esattamente nella stessa direzione e di livello simile”, aggiunge.
Alle parole si aggiungono nuovi dati. Uno studio, pubblicato come preprint su The Lancet, quindi ancora in attesa di revisione, ha dimostrato che il vaccino Oxford-AstraZeneca potrebbe portare a una riduzione “sostanziale” della diffusione del virus già dalla prima dose. I risultati mostrano infatti che il vaccino funziona anche quando l’attesa per la seconda dose si allunga di tre mesi. Più precisamente la prima dose ha un’efficacia del 76% per i tre mesi successivi alla prima iniezione. Questo potrebbe avere un impatto importantissimo sulla trasmissione e diffusione del virus. Se infatti un vaccino impedisce solo lo sviluppo delle forme gravi dell’infezione e quindi chi viene immunizzato con questo siero può comunque essere contagiato e trasmettere il virus, allora per proteggere la popolazione è necessario vaccinare proprio tutti. Ma se impedisce anche la diffusione del virus, si avrebbe un impatto molto maggiore sulla pandemia poiché ogni persona che viene vaccinata protegge indirettamente anche le altre persone. Nello studio i ricercatori hanno eseguito ogni settimana un tampone molecolare su ogni partecipante, all’incirca 17mila persone nel Regno Unito, in Sud Africa e in Brasile. “I dati indicano che [il vaccino] può avere un impatto sostanziale sulla trasmissione riducendo il numero di individui infetti nella popolazione”, afferma lo studio.
Questo potrebbe dare forza alla strategia del Regno Unito, in netto contrasto con quella di altri paesi e di molti scienziati, che prevede di dare priorità alla somministrazione della prima dose a quante più persone possibile. L’idea è di salvare più vite proteggendo più persone possibili, ma questo significa che le persone dovranno aspettare circa tre mesi per il richiamo invece di tre settimane. Ora questo studio sembra premiare la strategia britannica, mostrando una percentuale di protezione piuttosto elevata e duratura già dopo la prima dose. Dopo la seconda iniezione la percentuale di efficacia aumenta all’82 per cento. “Questi nuovi dati forniscono un’importante verifica dei dati provvisori che sono stati utilizzati da più di 25 regolatori, tra cui l’MhraA e l’Ema, per concedere l’autorizzazione all’uso di emergenza del vaccino”, sottolinea Pollard. Lo studio, però, non affronta l’impatto delle nuove varianti sul funzionamento dei vaccini.
Il ministro britannico della Salute Matt Hancock ha dichiarato che lo studio è “estremamente incoraggiante. Rafforza ulteriormente la nostra fiducia che i vaccini sono in grado di ridurre la trasmissione e proteggere le persone da questa terribile malattia. Questo studio mostra che il vaccino di Oxford funziona e funziona bene. Più di 9,6 milioni di persone hanno già ricevuto la prima dose del loro vaccino Covid-19 e il NHS sta lavorando instancabilmente per vaccinare quante più persone possibile in ogni parte del Regno Unito”.