Il fatto non sussiste. È la formula con la quale il giudice Loredana Galasso ha assolto l’ex commissario straordinario dell’Ilva Piero Gnudi e dell’ex direttore dello stabilimento Ruggero Cola nel processo ribattezzato “Ambiente svenduto bis” nel quale erano accusati di non aver rispetto gli obblighi imposti dall’Autorizzazione integrata ambientale e le norme del testo unico sull’ambiente nel periodo tra giugno 2013 e giugno 2014. Per i due imputati la procura aveva chiesto l’assoluzione e il tribunale ha accolto la richiesta ritenendo che non vi fossero responsabilità rispetto alle accuse. Già in fase di indagini preliminari, tuttavia, la procura ionica aveva chiesto per due volte l’archiviazione, ma il gip Vilma Gilli a disporre nuove indagini e successivamente aveva ordinare l’imputazione coatta e quindi l’avvio del processo.

Nel capo di imputazione era scritto che avevano omesso “nell’esercizio dell’attività produttiva dello stabilimento siderurgico Ilva sottoposto a commissariamento, di adempiere compiutamente alle prescrizioni Aia (rilasciate il 26 ottobre 2012) nonché alle prescrizioni del Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria di cui al Dpcm del 14 marzo 2014” e avrebbero determinato “illecitamente lo sversamento di una quantità imponente di emissioni diffuse e fuggitive, nocive in atmosfera, emissioni derivanti dall’area parchi, dall’area cokeria, dall’area agglomerato, dall’area altiforni, dall’area acciaieria, e dall’attività di smaltimento operata nell’area Grf, nonché dalle diverse torce dell’area acciaieria a mezzo delle quali (torce) smaltivano abusivamente una grande quantità di rifiuti gassosi”.

Nello stesso procedimento, esattamente un anno fa, sempre il giudice Galasso aveva dichiarato l’intervenuta prescrizione nei confronti dell’ex amministratore straordinario Enrico Bondi e per l’ex direttore di stabilimento Antonio Lupoli. Per le loro posizioni era già un anno fa era trascorso troppo tempo rispetto alla data in cui secondo l’accusa era stato commesso il reato e così il giudice accogliendo le richieste di accusa e difesa aveva interrotto il processo nei loro confronti. Nel procedimento si erano costituiti parte civile il Comune di Taranto che, tramite l’avvocato Rosario Orlando, aveva chiesto un risarcimento danni per 10 milioni di euro e Legambiente che, attraverso l’avvocato Ludovica Coda, aveva invece avanzato una richiesta di 500mila euro.

Con l’assoluzione di Gnudi e Cola si chiude processo “Ambiente svenduto bis”: una sorta di secondo capitolo rispetto al maxi processo che si sta celebrando dinanzi alla Corte d’assise di Taranto e che in questi giorni è nella fase di requisitoria della procura durante la quale il pubblico ministero Mariano Buccoliero sta tirando le somme sulle prove raccolte secondo l’accusa nelle oltre 300 udienze che si sono susseguite in questi quattro anni. Il turno dell’accusa si concluderà l’11 febbraio: nel corso della terza udienza dedicata all’accusa, è stato ancora Buccoliero a denunciare come Taranto sia stata “una città venduta ai Riva” con “atti di intesa che erano solo fumo negli occhi” ricordando come nel corso degli anni i Riva avessero in diverse occasioni assunto impegni con le istituzioni locali per migliorare la qualità della produzione, ma senza in realtà che quegli accordi fossero portati a compimento. “Una presa in giro colossale”, li ha definiti Buccoliero soffermandosi in particolare su quello del 2007 che, secondo l’accusa, non faceva altro che ripetere gli stessi impegni contenuti nel primo atto di intesa che risaliva al 1997. La gestione dell’Ilva da parte dei Riva, secondo l’accusa, in realtà aveva attuato interventi ambientali inefficaci o “farlocchi”: interventi dilazionati in tempi lunghi perché non offrivano alla proprietà “vantaggi produttivi”.

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