Parte dalla Francia ma sta raccogliendo consensi tra gli accademici di diversi paesi europei la petizione che chiede la cancellazione dei debiti pubblici statali detenuti dalla Banca centrale europea. Tra i firmatari anche il celebre Thomas Piketty e una ventina di economisti italiani tra cui Nicola Acocella e Leonardo Becchetti. Sostegni per l’appello arrivano anche da Germania, Irlanda, Belgio, Spagna, Svizzera, Grecia, Svezia, Portogallo, Ungheria e Gran Bretagna. Una proposta simile era stata avanzata dal presidente del parlamento europeo David Sassoli, lo scorso novembre.
Gli estensori del documento, pubblicato su diversi quotidiani europei, rimarcano come ormai il 25% dei debiti europei sia ormai in mano alla Bce. E’ il risultato di sei anni di programmi di quantitative easing, ossia l’acquisto di titoli di Stato da parte della banca centrale con denaro appositamente “stampato”. Quello che si chiede è che la Bce, che non ha tra i suoi obiettivi quello di guadagnare con questi titoli, li cancelli oppure li renda perpetui. Proceda quindi a quella che in gergo tecnico si chiama monetizzazione del debito. Una politica che, in generale, comporta il rischi di far decollare l’inflazione. Un problema che tuttavia sembra per ora lontano dalla zona euro.
I firmatari propongono che ai debiti cancellati corrispondano investimenti di pari ammontare da parte dei governi europei. In questo modo le politiche fiscali si affiancherebbero, con maggior rigore, a quelle monetarie. Esattamente come sta già accadendo negli Stati Uniti o in Giappone. Gli economisti danno atto all’Unione europea di avere fatto un grande sforzo per fronteggiare le ricadute economiche della pandemia ma lo ritengono ancora insufficiente. Il recovery fund da 750 miliardi di euro si confronta ad esempio con il piano da quasi 2mila miliardi di dollari a cui lavora la nuova amministrazione Biden. Lo stesso parlamento europeo aveva auspicato un intervento da 2mila miliardi. Gli economisti si dicono ben consapevoli di come la cancellazione costituirebbe un provvedimento eccezionale, così come fu eccezionale la cancellazione dei due terzi dei debiti tedeschi dopo la seconda guerra mondiale. Notano però anche come lo scenario delineato dalla pandemia sia paragonabile a quello generato dal conflitto globale ed autorizzi pertanto interventi straordinari.
In una fase in cui i tassi sono quasi ovunque al si sotto dello zero, i possibili benefici della cancellazione dei debiti, sono forse un po’ sopravvalutati ma molte delle critiche alla proposta appaiono piuttosto deboli. Qualcuno prospetta il rischio che investitori spaventati dal “precedente” chiederebbero all’Europa tassi più alti per comprare i titoli si Stato dei suoi paesi. Ma se la cancellazione fosse circoscritta, come chiesto esplicitamente nell’appello, ai titoli detenuti dalla Bce nell’ambito di un chiaro programma di interventi anti-pandemia, pare improbabile che il provvedimento avrebbe conseguenze dirompenti. Anzi, debiti pubblici più leggeri darebbero maggiori garanzie di rimborso per i possessori privati di titoli di Stato.
Strategie monetarie non molto differenti sono state già adottate in Giappone, senza particolari ricadute negativi nel rapporto tra paesi e mercati. Non pare granitica neppure la critica secondo cui in questo modo la banca centrale perderebbe la sua indipendenza e la sua credibilità. La Bce è forse indipendente dai governi ma i governi non lo sono certo dalla Bce e, soprattutto se circoscritto al contesto eccezionale di questi mesi, un ribilanciamento non sembra affatto un’eresia. Così come non lo sarebbe una certa emancipazione dei governi dagli umori dei mercati. Infine i trattati europei sembrano offrire appigli sia a chi ritiene la cancellazione ammissibile sia a chi la nega. Quello normativo non sembra comunque un ostacolo insormontabile.