È ripartito solo da qualche giorno, ma conta già un ferito l’Altoforno 2 dell’ex Ilva di Taranto, l’impianto in cui già nel 2015 è morto investito da una fiammata l’operaio Alessandro Morricella. Dopo un lungo periodo di stop per lavori di messa in sicurezza disposti dal tribunale di Taranto, l’Afo2 aveva ripreso la produzione, ma a poche ore dalla sua ripartenza uno dei lavoratori di ArcelorMittal, durante un’attività di controllo, è caduto in una botola da un’altezza di circa due metri a poca distanza dalla vasca dove viene scaricata la loppa. La causa dell’incidente, che fortunatamente non ha procurato ferite gravi all’operaio, secondo quanto emerso è stato causato dal cedimento di una lamiera. Un episodio non grave, ma che ha suscitato aspre reazioni tra lavoratori e sindacati che da tempo lamentano la criticità di una serie di impianti. Nell’Afo2, com’è facile immaginare, la vicenda appariva incredibile dato che l’impianto era stato fermo per mesi affinché fosse adeguato a una serie di norme di sicurezza imposte dalla magistratura.

E, come detto, non è la prima che l’Afo2 finisce al centro delle cronache. Il 12 giugno 2015 l’impianto fu sequestrato dopo l’incidente mortale che uccise Morricella: l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, però, varò in tutta fretta un decreto che consentiva all’impianto di ‘marciare’ nonostante mancassero le condizioni di sicurezza per i lavoratori. Una scelta evidentemente dettata dalla volontà di evitare il blocco della produzione dato che in quel momento Ilva viaggiava su una sola linea. Un provvedimento contro il quale si scagliò la procura ionica che chiese l’intervento della Corte costituzionale per valutarne la legittimità: a distanza di qualche anno la Consulta diede ragione ai giudici tarantini affermando che quel provvedimento aveva privilegiato “in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa”.

Ma proprio l‘Afo2 fu uno dei punti sui quali si scontrati ArcelorMittal e i commissari straordinari di Ilva in AS nel periodo in cui la multinazionale dell’acciaio aveva annunciato di voler rescindere il contratto stipulato col governo italiano e abbandonare la fabbrica ionica. In quel frangente, il pomo della discordia era la proroga alla facoltà d’uso che il tribunale ionico avrebbe dovuto concedere per consentire la realizzazione di lavori di messa in sicurezza: a dicembre 2019 il giudice Francesco Maccagnano rigettò la richiesta sostenendo concedere quella ulteriore proroga avrebbe significato “disapplicare ulteriormente – e per un lasso di tempo notevole – il sequestro originariamente convalidato dal Giudice per le indagini preliminari poco meno di cinque anni fa” con la “ulteriore compressione dell’interesse alla tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori operanti presso l’altoforno”. Insomma, quell’impianto per Maccagnano era ancora troppo pericoloso secondo il magistrato e andava fermato. Poi il Riesame ribaltò la situazione e a gennaio 2020 concesse la proroga: dodici mesi dopo i lavori sono terminati e l’impianto è ripartito. Mostrando ancora una volta i suoi limiti.

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