Secondo i dati della Fondazione studi consulenti del lavoro, nel secondo trimestre del 2020, 470mila donne hanno perso il lavoro, il 56% del totale. E nel solo mese di dicembre, 99 mila posti di lavoro su 101mila sono stati persi da donne, un numero spaventoso emerso dal report Istat sull’occupazione dell’ultimo mese del 2020.

La pandemia e le sue ripercussioni stanno rafforzando le disuguaglianze e le sperequazioni irrobustendo il gender gap anche in ambito professionale.

I dati sulla disoccupazione sono infatti drammaticamente sbilanciati: a pagare la crisi in questi mesi è troppo spesso l’occupazione femminile, con un aumento esponenziale delle donne inattive che si trovano a dover smettere di cercare lavoro perché costrette a dedicarsi alla cura dei figli o dei parenti anziani. Mentre emerge una stabilità dell’occupazione maschile.

È la somma allarmante di una serie di fattori compositi. Uno su tutti la sommersa ma ancora forte cultura patriarcale che anacronisticamente continua a volere la donna dedicata all’accudimento della casa e del nucleo familiare e che di fatto ne ostacola la piena liberazione da questo ruolo. Accanto a questa antica abitudine, si è rafforzata negli anni una minor tutela che le donne oggi hanno nei contratti di lavoro, problema trasversale ed endemico nel nostro Paese ma che sulla popolazione femminile batte con intensità maggiore.

Nel 2021, in Italia, siamo messi così. L’attitudine machista, ostinatamente declinata nel quotidiano, permea ancora con prepotenza, e quasi indisturbata, la stragrande maggioranza degli ambiti della nostra società.

Per indebolirla e scardinarla stavolta serve un cambio di passo vero, un salto lungo che ci allontani dalla modalità sistemica con cui da sempre siamo abituati ad agire.
E siamo noi uomini a dover imprimere questa spinta nuova. Siamo noi a dover esigere che le opportunità, gli spazi, i ruoli e i vantaggi siano davvero pari, e che lo siano sempre.
Siamo noi, nel quotidiano ed in qualsiasi ambito, a doverci adoperare perché ciò sia garantito.

Il nuovo programma di governo deve ripartire anche da qui: ripensare relazioni e priorità, dare strumenti strutturali perché le attività di cura siano equamente divise tra uomini e donne, e le opportunità pari. Potenziare asili, congedo di paternità obbligatorio, strutture per anziani, servizi essenziali efficienti e supportivi in tutto il territorio nazionale. E ancora fondi per l’imprenditoria femminile, sgravi per le assunzioni e un contrasto vero ai contratti far west, a partire dall’abuso delle partite Iva senza tutele.

Sono tante le misure che il nuovo governo dovrà decidere di implementare. Servirà però una forte volontà politica e priorità definite. Con l’occasione, irripetibile, del Recovery plan, il processo di trasformazione e modernizzazione del nostro Paese deve mettere in primo piano, insieme ai giovani, anche le donne.

È una priorità di cui dovremo occuparci tutte e tutti. Da subito.

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