Come storicamente di moda in Italia, in questo momento difficile compaiono forze centrifughe che cercano di saltare la fila nella vaccinazione.
Alcuni governatori di varie regioni, presumibilmente per ingraziarsi i loro cittadini elettori, immaginano di poter acquistare personalmente i vaccini. Credono che le multinazionali (come la Pfizer) faranno a gara a vendere i vaccini, allettate dall’offerta di una singola regione che si impegna a sborsare uno o due euro in più.
Al contrario, penso che questi presidenti di regione si accorgeranno molto presto che le enormi industrie farmaceutiche (il bilancio Pfizer alcuni anni orsono corrispondeva a quello di una nazione come l’Austria), quando firmano contratti con colossi come gli Usa o la Ue, non concedono poi facilmente udienza a piccole realtà locali.
Un secondo problema che si profila all’orizzonte riguarda la gestione delle dosi fornite. Qui iniziano i distinguo: ad esempio riceverli in base alla popolazione totale oppure in base alla popolazione anziana che, in percentuale, è più alta in alcune regioni? Somministrarli agli operatori sanitari, ma con quali professionalità (in alcune regioni gli odontoiatri si, in altre no; i liberi professionisti medici, fisioterapisti, riabilitatori, dietisti, psicologi a macchia di leopardo)? Dare priorità ai funzionari amministrativi degli ospedali che, però, non hanno contatti coi pazienti?
Sarebbe certamente inopportuno che si creasse una babele per cui, a seconda delle regioni, venissero privilegiate categorie o età diverse. Secondo il mio parere è importante che sia presa una decisione centralizzata, vincolante per tutti, alla quale attenersi. Le ipotesi sul campo sono due: per categorie professionali o per età?
Le categorie professionali, indicate al momento sono le forze dell’ordine e gli insegnanti. Il problema che si pone è se una categoria sia più importante o esposta di altre. Ad esempio perché non lo sono i commessi del supermercato? Oppure gli addetti alle pompe funebri? O i militari, i pompieri, gli addetti all’allacciamento di gas o acqua, le badanti etc etc.? Fermo restando che le prime due categorie citate sono a rischio (e hanno diritto ad una vaccinazione che sia il più veloce possibile) sorge, però, un problema etico: è giusto vaccinare prima un insegnante di trent’anni che, presumibilmente, potrebbe avere un decorso infettivo blando o, invece, è meglio dare la priorità ad una cassiera sessantenne che, al contrario, rischia molto?
Il criterio dell’età va per fasce: prima coloro che hanno più di 80 anni, poi 75, 70 e via via… In questo caso si rischia di privilegiare persone che, per età e status di pensionamento, possono più facilmente stare in casa, a discapito di altre, attive sul lavoro, che svolgono funzioni essenziali per la vita di tutti gli altri.
In Israele si sta dimostrando che una vaccinazione che coinvolga tutti gli over sessantenni azzera quasi i casi gravi e i ricoveri ospedalieri. Questa, a mio avviso, dovrebbe essere la bussola che ci guida: fare tesoro delle esperienze delle nazioni che hanno già sperimentato soluzioni efficaci.
Se gli ospedali fossero meno sotto pressione per riduzione dei casi gravi e della mortalità, la patologia Covid potrebbe essere derubricata a una malattia come un’altra: spiacevole, problematica ma, sostanzialmente, curabile dal sistema sanitario nazionale.
Per questo ritengo che, fatti salvi i sanitari che hanno il compito oneroso di curare, il criterio dell’età sia il più razionale, etico ed efficace a portarci fuori dall’incubo. Visto che uno dei vaccini è consigliato fino a 55 anni o fino a 65, se esenti da patologie particolari, potrebbe essere usato in queste fasce di età. Se entro maggio, come ragionevolmente è possibile, tutti coloro che hanno più di 50/60 anni saranno vaccinati, potremo riprendere una vita quasi normale, con qualche precauzione residua per i mesi estivi durante i quali vaccinare tutti gli over 35/45. Entro l’autunno, se tutto funziona, l’Italia potrebbe essere fuori dalla pandemia.
A quel punto, se vogliamo riprendere la vita di prima, sarà opportuno aiutare paesi più poveri che hanno difficoltà ad accedere ai vaccini.
Le regioni e i loro governatori per smania di protagonismo o per calcoli elettorali saranno tentati di andare in ordine sparso, per affermare che privilegiano questo o quello. Credo che una babele di direttive o la disparità fra un territorio o l’altro sarebbe il peggiore dei mali. Risulterebbe chiaro che si tratta di un fine fittizio ed egoistico, dettato dalla smania di molti di saltare la fila, per accrescere la propria popolarità, casomai facendo carte false o stiracchiando le direttive. La burocrazia avrebbe il sopravvento, con la richiesta di certificazioni a non finire, autocertificazioni o raccomandazioni.
Ciò determinerebbe un rallentamento inevitabile delle vaccinazioni che richiedono regole semplici. Al contrario, il criterio dell’età è facilissimo da valutare, in quanto presente sulla carta d’identità.
In questo momento penso che, sul piano psicologico, rassicuri maggiormente sentirsi parte di una comunità, quella europea, in cui non vengono fatti “figli e figliastri”, piuttosto che partecipare a una gara in cui vince il più furbo e spregiudicato, colui che si accaparra più vaccini e li usa per me e non per il mio vicino, con criteri discutibili.
Sarebbe oltremodo sconfortante e psicologicamente distruttivo pensare che dobbiamo sgomitare, fare carte false o ricorrere a raccomandazioni e sotterfugi per essere privilegiati. Già, in Italia, il senso di appartenenza nazionale è appannato. Se comparisse l’idea che il ricco, potente oppure organizzato sindacalmente fa ciò che vuole, a discapito di chi non lo è, la solidarietà nella società si sgretolerebbe. A quel punto perché pagare le tasse? O rispettare le regole?