Dario Franceschini rischia di essere confermato al Ministero dei Beni culturali. Ancora una volta. Dopo Renzi e Gentiloni, dal febbraio 2014 a giugno 2018, il Conte II, da settembre 2019 a febbraio 2021. Ed ora Draghi, molto probabilmente.
Nella storia del ministero nessuno ne ha retto le sorti per un tempo così lungo. Sono oltre 1707 i giorni nei quali è stato in carica. Insomma 4 anni e sei mesi, inframmezzati dal breve e impalpabile regno di Bonisoli. Solo Antonio Gullotti nel Craxi I e I e poi nel Fanfani IV, tra il 1983 e il 1987, gli si può avvicinare con 1454 giorni, cioè 3 anni e 9 mesi. Più distanziato Giuliano Urbani: nel Berlusconi II, tra il 2001 e il 2005, si é fermato a 1411 giorni cioè 3 anni e 8 mesi.
Franceschini é stato sostenuto nelle sue diverse esperienze di Governo, non solo dal Pd, Leu, Italia Viva e da altre formazioni di centro-sinistra, ma anche dal PSI, oltre che dal NCD. Ma, soprattutto nel Conte II è stato accettato dal M5s che in più circostanze ne aveva sottolineato una gestione del Beni culturali totalmente sbagliata. Con critiche feroci a singoli provvedimenti, certo. Ma soprattutto ad un’idea complessiva di tutela e valorizzazione. Al punto che il 7 maggio 2016 in occasione di una grande manifestazione di piazza, a Roma, sfilarono senatori e deputati M5S con striscioni contro la distruzione pubblica della cultura operata dal governo guidato da Matteo Renzi e di cui era ministro dei Beni culturali proprio Dario Franceschini. Ma si sa, in politica ogni cosa é mutevole. Come d’altra parte dimostra proprio lo stesso ministro, che nell’estate del 2019, é divenuto il tenace sostenitore di un accordo di governo con i grillini. Che in precedenza aveva demonizzato.
Ma il punto non è questo, ora. Perché è più che evidente che Franceschini coltivi delle ambizioni che alimenta esercitando il suo ruolo carismatico. Anche all’interno del Pd. Perché sembra indubitabile che il ministro di lungo corso cerchi e voglia spazio. E’ legittimo. La politica è anche questo. Spazi. Il problema é un altro, semmai.
Il problema é che il malconcio settore dei Beni culturali non può più permettersi una visione cosi “chiusa”. Non la meritano i nostri quasi sterminati beni immobili, disseminati da una estremità all’altra del Paese. Musei ed antiquarium. Pinacoteche e Gallerie. Aree archeologiche e Palazzi storici. Parchi archeologici e Giardini storici. Biblioteche e Archivi. Teatri e spazi culturali. Non lo merita nessuno di quei Luoghi. Né la piccola area archeologica abbandonata da sempre all’incuria, ma neppure la celebrata Pompei. Ridotta, in tempi di Covid un po’ meno, a palcoscenico sul quale far esibire gli “attori” da lanciare. Naturalmente grazie ad una inenarrabile serie di scoperte sensazionali. Non lo merita il piccolo antiquarium della più anonima provincia, con un allestimento tanto desueto quanto respingente, tanto meno il Colosseo. Che finalmente avrà ricostruita l’arena che tanto mancava, a detta di alcuni. Poco importa che per realizzarla sarà necessaria una quantità di denaro abnorme.
D’altra parte, perché mai privare i turisti di uno strumento di comprensione così importante? Verrebbe da dire, necessario? Non importa se sono stati in molti a sostenere che se ne potesse fare a meno. Non conta. Anzi, non contano. Quelli che la pensano in maniera differente. Già perché, oltre a non meritare l’idea di gestione perseguita da Franceschini i beni immobili, non la meritano neppure i professionisti dei Beni culturali. Nessuno di loro. Non i funzionari e i tecnici delle Soprintendenze che continuano ad essere impossibilitati ad esprimere qualsiasi opinione sulle operazioni svolte. Se non dopo averne avuta autorizzazione. Impossibile? Macché, tutto vero! Il riferimento è alla alla Circolare 2208 del 1 Febbraio 2016 firmata da Francesco Prosperetti, Soprintendente della Soprintendenza speciale Archeologia, Belle arti e Paesaggio. Circolare inequivocabile.
“Le modalità di comunicazione agli organi di informazione relative ad attività istituzionali dovranno essere preventivamente sottoposte al Dirigente, per il tramite dell’Addetto Stampa … Ogni iniziativa autonomamente presa dalle SSLL in maniera difforme è ritenuta non consona al disposto dell’art. 3, comma 8 del Codice di Comportamento”. Insomma esprimere il proprio parere è vietato. Per legge. Misura più che singolare per un ministero nel quale le riforme sono state attuate con grande disinvoltura. Il personale di Soprintendenza non merita questo “bavaglio”. Tanto più in considerazione delle modalità con le quali sempre più frequentemente è costretto a lavorare. Con organici più che esigui e risorse insufficienti alle esigenze dei territori.
Non meritano che si prosegua sulla via intrapresa neppure i liberi professionisti, soprattutto archeologi, che lavorano direttamente con le Soprintendenze oppure, più frequentemente, attraverso le Cooperative. Professionisti che in molti casi potrebbero rimpinguare proprio gli organici sguarniti delle Soprintendenze. Naturalmente attraverso regolari concorsi.
Le questioni per le quali sarebbe il caso di porre fine al dicastero di Franceschini sono molte, oltre a quelle ricordate. Senza contare che lo suggerirebbe anche il bon ton istituzionale. Per evitare che il ministro di lungo corso possa affermare “I beni Culturali sono io”. Quasi fosse un nuovo Re Sole. L’Italia dopo Spadolini ha conosciuto tanti Ministri dei beni culturali. Di qualcuno si ricorda a mala pena il nome, di qualcun altro anche l’operato. In alcuni casi si è trattato di personalità legate in qualche modo alla Cultura. In altre di politici da accontentare. Di correnti di partiti da soddisfare, come possibile. Con un ministero che col tempo ha perso la sua iniziale rilevanza. La complessità del compito è innegabile. Le difficoltà forse inimmaginabili. Il rischio dell’inadeguatezza, altissimo.
Ma serve un nuovo indirizzo. Serve un ministro nuovo. Che superi l’assolutismo di Franceschini. Se non altro che restituisca la parola agli addetti ai lavori. Che cancelli una ingiustificabile censura.