In Gran Bretagna – travolto dalla variante inglese e ormai superate le 100mila vittime – si stima che fino a 100 bambini a settimana vengano ricoverati in ospedale con la sindrome infiammatoria multisistemica pediatrica (Pims) post-Covid, condizione osservata dai pediatri all’inizio della pandemia e originariamente descritta come Kawasaki o simil Kawasaki, per poi essere inquadrata come una nuova sindrome. Il dato è stato diffuso dal ‘Guardian’ online. Sebbene gli specialisti non ritengano che la frequenza della malattia sia aumentata rispetto ai casi che si registrano nella comunità, i numeri attuali sono alti rispetto a quelli della prima ondata, cioè ai circa 30 casi a settimana che si registravano ad aprile scorso.
A preoccupare i pediatri è anche che il 75% dei bimbi più colpiti dalla sindrome sono neri, asiatici o appartenenti a minoranze etniche. Quasi 4 su 5 erano in precedenza sani. Secondo quanto osservato finora la nuova sindrome post virale viene sviluppata da un bambino su 5mila circa, un mese dopo aver contratto il coronavirus Sars-CoV-2. Eruzioni cutanee, febbre fino a 40°, pressione sanguigna pericolosamente bassa e problemi addominali, e nei casi più gravi sintomi come la sepsi, potenzialmente fatale.
Circa 12-15 bambini si ritiene si siano ammalati dall’inizio di gennaio. I casi sono emersi in molte località, spiegano gli esperti, ma la maggior parte si è verificata a Londra e nel Sud-Est dell’Inghilterra, aree in cui la nuova variante del Kent ha determinato un forte aumento delle infezioni da Sars-CoV-2.
Quanto alle caratteristiche dei bimbi colpiti, secondo una presentazione fatta in occasione di un incontro online a cui hanno partecipato più di mille pediatri, su 78 pazienti finiti in terapia intensiva con la sindrome Pims il 47% era di origine afro-caraibica e il 28% asiatica. Le evidenze sono state raccolte da Hermione Lyall, esperta di malattie infettive dei bambini, Imperial College Healthcare Nhs trust di Londra. Gli esperti stanno indagando per capire i motivi di questa sproporzione. Altri dati mostrano l’età media dei bambini che sviluppano la sindrome: 11 anni, ma varia da 8 a 14 anni; due terzi (67%) erano maschi; quasi uno su 4 dei piccoli che finiscono in terapia intensiva sviluppa una complicazione cardiaca pericolosa correlata alla sindrome. Gli esperti rassicurano però i genitori: l’aumento di ricoveri è parametrato al maggior impatto della pandemia e, aggiunge Liz Whittaker, referente per la Pims al Royal College of Paediatrics and Child Health, “abbiamo visto un minor numero di bambini gravemente malati perché c’è un riconoscimento e un trattamento precoce” della condizione che resta comunque “rara. Non un motivo per impedire l’apertura delle scuole”.