Uno, nessuno: tremila. Per l’esattezza 3.336. Tanti sono stati nel 2018 i votanti a favore di un nuovo frazionamento del territorio, ovvero di un nuovo comune italiano. Si tratta di otto frazioni di Trapani: Fontanasalsa, Guarrato, Rilievo, Locogrande, Marausa, Palma, Salinagrande, Pietretagliate. Che ora si staccheranno dal capoluogo sottraendogli perfino l’aeroporto. Benvenuti a Misiliscemi, si leggerà dunque all’atterraggio. Dopo che l’Ars, lo scorso 3 febbraio, ha approvato il ddl a favore dell’istituzione del comune di 8mila abitanti dal nome che pare uno scioglilingua. Misiliscemi sarà il 391esimo in Sicilia, il 7.904esimo d’Italia. Sarà dunque la prima volta dopo anni che si andrà ad aggiungere un comune, invece che sottrarne. Erano più di 8mila i comuni italiani ma grazie all’accorpamento di quelli più piccoli il numero si è andato ogni anno diminuendo. Nel 2020 erano stati, per esempio, 14 i comuni soppressi per fusione con altri, in nome del contenimento della spesa pubblica. Per la prima volta il numero torna a crescere, scomponendo il territorio, e moltiplicando i municipi.

Succede al termine di un lungo e tortuoso percorso, a tratti anche paradossale iniziato nel 2005 con la costituzione di un comitato di cittadini “che volevano solo confrontarsi con l’amministrazione”, spiega il presidente Salvatore Tallarita. Ma che alla fine ha fatto segnare una vittoria del separatismo, perdente un po’ in ogni dove nel resto del mondo ma vincente nei quartieri alla periferia di Trapani. Non a caso Tallarita sogna Barcellona: “Una rambla che arrivi dalle colline fino al mare”, così spiega solo uno dei tanti progetti del comitato. Ma il perché del loro separatismo lo dice trachant: “Non abbiamo le fognature. L’acqua arriva una volta alla settimana: spero questo basti a rendere l’idea”, dice Tallarita. Mentre dal lato di chi subirà questa separazione ammettono: “È stato il frutto di vent’anni in cui le amministrazioni che si sono susseguite hanno ignorato le istanze degli abitanti”, punta sicuro il dito il sindaco di Trapani, Giacomo Tranchida, all’epoca del referendum non ancora alla guida della città. Lo sarebbe diventato pochi giorni dopo.

È questo uno dei tanti intrecci paradossali di questa storia siciliana. Il referendum fu indetto infatti per il 27 maggio 2018, mentre due settimane dopo – il 12 giugno – i trapanesi sarebbero andati a votare pure per le amministrative: “Ovviamente nessun candidato volle prendere posizione per non perdere consenso e molti non andarono a votare per il referendum, argomento assolutamente di secondo piano rispetto alle elezioni a sindaco”, spiega il commissario provinciale dell’Udc, Fabio Bongiovanni, che sulla questione appare contrapposto alla compagna di partito, nonché capogruppo all’Ars, Eleonora Lo Curto, indicata come una delle maggiori fautrici del : “All’inizio li prendevo per folli, – spiega lei – ma poi li ho ascoltati e mi sono convinta delle loro ragioni, mi ha convinto la loro semplicità e la sostenibilità del progetto di sviluppo che questo gruppo di persone ha saputo rappresentare in modo molto chiaro, mi sono resa conto che sanno cosa vogliono, sanno come farlo, sanno come intercettare finanziamenti per il loro territorio e vogliono uscire dalla marginalità dopo anni in cui sono stati completamente ignorati”.

“Siamo un gruppo di avvocati, di ingegneri, non siamo improvvisati e sappiamo quel che vale questo territorio. Quasi 9mila abitanti e quattromila seconde case, 93 chilometri quadrati ricchi di aziende: rappresentiamo il 40 per cento del gettito comunale: 12 milioni di euro. Ci siamo sforzati di pianificare migliori condizioni di vita per il bene di tutti: sappiamo di vivere in un bel posto, da sfruttare con mezzi moderni: siamo invece fuori dalle dinamiche di sviluppo della città, attestati da atti importanti, come nel piano regolatore, tutti i piani strategici di sviluppo della città, le contrade sono fuori”. Argomenti che hanno spinto Lo Curto ad avviare una vera e propria azione di lobbying “per aiutarli” e la legge è andata in porto.

Un sì che secondo Stefano Pellegrino (Fi), presidente della commissione Affari istituzionali, non poteva non arrivare: “Il pronunciamento dell’Ars arriva solo alla fine di un percorso in cui i sì istituzionali erano stati già tanti, tante le tappe”. La costituzione nel 2005 di un comitato per la separazione da Trapani, la raccolta firme, il sì dell’Ars al referendum, poi anche la ratifica del consiglio comunale del capoluogo che ha detto sì al nuovo comune: “L’Ars è arrivata solo alla fine”. Ma c’è arrivata, ed è stata approvata, nonostante sia stato presentato contestualmente in commissione un altro disegno di legge che prevede il divieto di formare comuni al disotto dei 10mila abitanti: “Ma la normativa di riferimento è comunque quella vecchia”, sottolinea Pellegrino. Una normativa che si rifà dunque a un referendum di quasi tre anni fa, vittorioso per i separatisti con il sì di meno della metà degli aventi diritto: 3336 sì, su 7209 elettori. Ma altri 391 votarono no, facendo raggiungere il quorum.

Così che adesso arriverà un commissario: “Daremo seguito a quanto è stato votato dall’Assemblea, procederemo con la nomina di un commissario che dovrà gestire questa fase”, assicura Marco Zambuto, neo assessore alle Autonomie locali. Ed è proprio l’arrivo del nuovo commissario a svelare il paradosso, per dare vita dal nulla alla nuova macchina amministrativa dovrà insediarsi nelle stanze del municipio di Trapani. Da lì dovrà “avviare tutta una serie di contratti di servizio dall’acqua alla luce, al trasporto pubblico tutto con 4 milioni di euro appena”, continua Bongiovanni. Perfino avviare la costruzione di un cimitero: “Lì non ne hanno, forse l’unico caso in Italia”, sottolinea ancora il commissario Udc. Che ne è certo: “Si pensava fosse un mero referendum consultivo, un modo per lanciare un messaggio. Adesso anche molti di quelli che hanno votato a favore non lo sono più”. Eppure la loro marginalità è sottolineata perfino dalla posizione: dal centro di Trapani per arrivare in queste frazioni bisogna attraversare un altro comune: Paceco.

Ma la grana più grossa è l’aeroporto che ricade nel territorio separatista: “È una struttura carissima da mantenere pure per 27 comuni figuriamoci per uno solo e così piccolo”, indica Tranchida. “C’è un aeroporto anche a Comiso (che però conta più di 30mila abitanti, ndr) ma soprattutto l’aeroporto di Trapani è gestito da Airgest che è partecipata al 99 per cento dalla Regione. Perciò, sebbene io non sia innamorato dell’idea di un nuovo comune, anzi… non è l’aeroporto il problema. Bisognerebbe invece che le decisioni dell’Assemblea arrivassero ad inizio iter, al termine di un lungo percorso di sì, non potevamo più rifiutarci: potevamo solo prendere atto”, spiega il presidente della commissione che ha avviato la legge.

I più maliziosi però leggono altro tra le righe di questo vincente separatismo: Trapani, con più di 65mila abitanti, è a capo di una provincia che tra le sue file annovera la più popolosa Marsala che ne conta più di 80mila. Un tentativo di indebolire il capoluogo per strappare il vessillo della provincia: “Questa è davvero una lettura delirante”, chiosa Pellegrino. “Una sciocchezza che non si regge in piedi, frutto di una visione molto miope e provinciale: io auspico che Marsala ottenga il prestigio che merita ma non certo facendo la guerra ad altri comuni”, risponde anche Lo Curto. Intanto questa “divisione” non piace neanche dentro l’Ars: “Come Movimento abbiamo sempre avuto un grande rispetto per il risultato referendario ma non possiamo non sottolineare che l’istituzione del Comune di Misiliscemi resti una scelta anacronistica, in un mondo che va verso l’accorpamento dei servizi, e che apre un percorso tutto in salita e pieno di grossi punti interrogativi per il nuovo ente”, commenta Gianina Ciancio, vice capogruppo del M5s all’Ars. E l’interrogativo più grande è di certo uno: il governo nazionale impugnerà la legge? “L’autonomia prevede la nostra facoltà di deliberare in materia”, sottolinea il forzista. Mentre all’orizzonte compare un altro comune, stavolta a Messina, dove 13 quartieri chiedono di votare per uscire dalla giurisdizione della città dello Stretto sospeso in attesa di un parere, richiesto dal Comune, della Regione che ne confermi la legittimità. Se arrivasse la conferma, il nuovo comune comprenderebbe perfino la frazione fantasma di massa San Nicola: al momento completamente disabitata.

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