Si è concluso il 29 gennaio il dibattito pubblico sulla diga foranea del porto di Genova (gestione: sindaco+Autorità portuale). Una procedura ben diversa da quella prevista dalla legge perché ridotta nei tempi (da 120 a 20 giorni) e costretta in modalità che ne contraddicono il carattere di “pubblico”: nessuna pubblicità degli atti tecnico progettuali, ridotti a un abstract di 40 pagine, e partecipazione costretta e selezionata. Eppure si tratta di un’opera da 1,3 miliardi, tutti soldi pubblici inseriti nel Recovery Fund, per la quale sono state previste tre soluzioni – quelle presentate al dibattito pubblico – di cui non è dato conoscere la genesi, i dati sui cui sono stati costruiti i piani economici e le soluzioni progettuali.

Tutto il dibattito si è svolto a porte chiuse, la stampa assente, così come i rappresentanti di interessi diversi da quelli dei concessionari dei moli, che diranno come spendere un fiume di soldi pubblici investiti nell’opera. Restano a carico della collettività gli effetti di scelte che già nel corso del dibattito pubblico short hanno sollevato preoccupazione: volumi di traffico, posti di lavoro, trasporti, impatto ambientale.

Così si svuota il dibattito pubblico della funzione che gli è attribuita dal Codice degli Appalti, a garanzia della trasparenza, dell’utilità e dell’interesse comune delle grandi opere pubbliche. Risale solo a due anni fa la grande conquista di essere riusciti a portare nella nostra legislazione un istituto, mutuato dal débat public francese, che finalmente realizzava un potente strumento di democrazia nella decisione e realizzazione delle grandi opere pubbliche infrastrutturali. In Francia fu la legge Barnier, adottata dall’Assemblea Nazionale nel 1994 in risposta alla dura opposizione delle popolazioni interessate alla realizzazione della linea TGV Lione-Marsiglia, a istituire un’autorità indipendente, la Commission Nationale di Débat Public (CNDP). Si occupa delle campagne informative, della raccolta delle domande di partecipazione da parte di cittadini, associazioni, enti locali, ordini professionali e organizza il calendario del débat public pubblicandone gli atti e i documenti.

La durata massima della procedura è di quattro mesi, al termine dei quali la Commissione redige un verbale contenente i pro e contro emersi dal dibattito e le eventuali proposte alternative. Il proponente l’opera – pubblico o privato – ne prende atto e comunica se intende continuare con la realizzazione, se apporta modifiche o se lo ritira. La scarsa incisività della fase finale rappresenta anche il lato debole del débat public, che è però fondamentale per garantire la democrazia delle scelte e tentare di migliorare le opere pubbliche col contributo di tutti.

A Genova, dunque, il dibattito pubblico previsto per legge è stato compresso e trasformato in una recita utile a non far partecipare chi avrebbe voluto capire e saputo proporre, naturalmente in nome della velocità e dell’efficienza. Se qualcuno pensa che la storia della diga foranea di Genova sia uno dei punti più bassi nella gestione in trasparenza delle scelte collettive, sappia però che c’è chi ha fatto anche di meglio. In Piemonte due presidenti di Regione (insieme alle loro Giunte) uno di sinistra e uno di destra, hanno senza ritegno negato qualunque forma – anche semplificata e compressa – di pubblicizzazione, discussione e partecipazione intorno alla costruzione di due ospedali, le Città della Salute di Torino (1040 posti letto) e di Novara (671 posti letto). Costi stimati: circa un miliardo per le due strutture, oltre a 87mila € di arredi e tecnologia per posto letto (circa 150 milioni di euro in tutto). A mio avviso, un vero esempio di allergia alla democrazia trasversale agli schieramenti.

Nessun dibattito pubblico, come se la procedura introdotta dal Codice degli Appalti non ci fosse proprio. Eppure da quasi due anni fioriscono le sollecitazioni ad aprire la procedura di dibattito pubblico, viste le carenze e le fumosità dei progetti e dei quadri economici a corredo. Sono in discussione non già l’utilità delle due opere, il numero di posti letto previsti e la loro distribuzione, ma le modalità economico-finanziarie con cui i due presidenti del Piemonte, Sergio Chiamparino prima e Alberto Cirio dopo, in perfetta continuità hanno avallato l’adozione di una procedura – il Parternariato Pubblico Privato – che rischia di costare molto caro ai piemontesi per i prossimi 25 anni. Il dibattito pubblico avrebbe permesso di confrontare, fra l’altro le forme di finanziamento più convenienti per la collettività, ma non si è fatto per l’opposizione proprio del Presidente della Giunta Regionale Chiamparino e del suo assessore Antonio Saitta, che hanno resistito perfino all’intervento, nel 2018, dell’allora ministro della Salute Giulia Grillo appellandosi alla necessità di “fare presto”.

Risultato: l’iter della fase preliminare della Città della Salute di Torino è fermo da 8 mesi per questioni burocratico/legali, di quella di Novara non si sa. Uno studio comparativo, molto vicino per metodo e ciò che si sarebbe potuto fare col dibattito pubblico, è appena arrivato sulle scrivanie delle autorità piemontesi e afferma che le scelte delle due Giunte regionali sono le più onerose fra quelle possibili. Chiamparino, sconfitto alle elezioni regionali scorse, manovra per concorrere a decidere il candidato Pd a sindaco di Torino, Cirio si barcamena fra i marosi dell’epidemia, Saitta (assessore alla Sanità della giunta Chiamparino) scopre dai giornalisti di essere vice-presidente del comitato strategico del CCM, quello del piano pandemico mancante. Giusto mentre Icardi, suo successore di centrodestra alla Sanità, se ne va in viaggio di nozze col Piemonte in rosso.

Ecco perché c’è bisogno di trasparenza: tutto il tempo che si passa a conoscere, analizzare, discutere e poi decidere è tempo che fa bene al paese, alle opere ai cittadini, basta stabilire tempi e modi. Fa male ai politicanti e ai prenditori, che per adesso se la ridono. Specialmente del fastidio che mostrano gli eletti quando si tratta di passare dalle chiacchiere sulla partecipazione alla concreta pratica della democrazia.

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