Protestano da mesi contro le riforme volute dal premier conservatore Narendra Modi, per liberalizzare il mercato agricolo e allentare quelle norme che regolano vendite, prezzi e conservazione dei prodotti della terra. Decine di migliaia di contadini indiani sono ancora accampati ai confini di Nuova Delhi per chiedere al governo di ritirare le nuove leggi che li lasceranno più poveri e in balia delle multinazionali. Dalla loro parte si sono schierate anche Greta Thunberg, che ha manifestato il suo sostegno rilanciando gli hashtag #StandwithFarmers e #FarmersProtest, e la nipote della vicepresidente Usa Kamala Harris, Meena. Endorsement arrivati dopo un tweet di Rihanna, popstar da oltre 100 milioni di follower, che ha fatto infuriare il governo indiano. In una nota il ministero degli Esteri ha accusato “personaggi stranieri” e “celebrities” di “sensazionalismo”, specificando che fare ricorso “ad hashtag e a commenti sensazionalistici sui social media non è né accurato né responsabile”.
La situazione economica dei contadini indiani – È già estremamente precaria e rischia di precipitare con le riforme di Modi. La maggior parte degli agricoltori, circa il 68 per cento, possiede meno di un ettaro di terra, appena il 6 per cento riceve i sussidi statali e il 90 per cento vende i propri prodotti sul mercato. Una ricerca del 2016 ha stimato che, in più della metà degli Stati indiani, una famiglia di agricoltori guadagna appena 270 dollari in un anno. Una situazione che ha spinto i braccianti a chiedere prezzi minimi garantiti più alti al governo centrale e alle amministrazioni regionali. Richieste che per ora si schiantano contro il muro di gomma delle promesse velleitarie del governo, che ha assicurato di raddoppiare i redditi degli agricoltori (in calo dal 2011-2012) entro il 2022. Ma l’impegno, molto ambizioso, risulta difficile da mantenere.
Le fasi della protesta – La lotta contro la riforma agraria, che è stata approvata nel mese di settembre, ha spinto le unioni sindacali a creare il movimento Dilhi Chalo (Andiamo a Delhi), che ha portato decine di migliaia di contadini a marciare sulla capitale. Hanno fronteggiato la polizia, che ha provato a frenare l’onda, e sono andati avanti. L’azione è iniziata il 26 novembre con lo sciopero nazionale, a cui hanno aderito circa 250 milioni di persone. E quattro giorni dopo erano 300mila i contadini alle porte di Nuova Delhi. Una partecipazione oceanica che, però, non ha fatto tornare il governo sui suoi passi. Le parti, dunque, rimangono granitiche, e distanti, sulle rispettive posizioni, specie dopo l’escalation del 26 gennaio, quando la situazione è degenerata. Decine di migliaia di contadini – sui trattori, a piedi, a cavallo – hanno sfondato le barricate della polizia e occupato il Forte Rosso di Delhi, uno dei monumenti più importanti dell’India ed ex residenza degli imperatori Moghul. Una mossa altamente simbolica che è una sfida diretta al premier Modi e forze di polizia, incapaci di frenare le pulsioni della folla. Negli scontri è morto un agricoltore e 500 agenti sono rimasti feriti. Una spirale di violenza condannata dai leader della protesta che, allo stesso tempo, hanno deciso di non mollare e di insistere sulle loro istanze, sostenuti via social da una serie di celebrities che hanno amplificato la portata mediatica della protesta. Il governo ha cercato di arginare il fronte della Rete chiedendo a Twitter, invano, di rimuovere tutti gli account e i contenuti che esprimono solidarietà ai contadini e davanti al rifiuto della piattaforma di microblogging ha minacciato azioni legali.
La situazione sul fronte agricolo resta dunque in stallo, mentre l’India – dove i dati delle grandi città indicano la direzione dell’immunità di gregge – fa fronte anche alla pandemia e a un ambizioso piano vaccinale che punta a somministrare il farmaco anti-Covid a 300 milioni di indiani entro agosto. Una meta improbabile visto che a oggi soltanto 3 milioni di persone hanno ricevuto almeno una dose del siero.