Cosa c’è che non va nella meritocrazia? Da anni siamo talmente immersi in discorsi e racconti sulle meravigliose virtù di questa parola che è difficile persino porsi la domanda. Eppure sarebbe il caso di farlo, come argomenta il libro del docente di filosofia politica di Harvard Micheal Sandel. Qui si annidano infatti alcune delle ragioni che alimentano le simpatie nei confronti di movimenti populisti in tutto il mondo occidentale. Qui le origini dell’elezione di Donald Trump o della Brexit. Voti con il “dito medio” ma spesso molto più consapevoli di quanto non raccontano molti commentatori. Circoscritta ad alcuni ambiti la meritocrazia è qualcosa di sano e desiderabile. Non lo è più se viene utilizzata come prima pietra su cui edificare una società. Oppure come foglia di fico per nascondere la totale inazione dei governi in tema di ingiustizia sociale. Quello che invece hanno fatto negli anni le forze cosiddette progressiste, dai labouristi di Tony Blair (e tardivi imitatori italici), ai social democratici tedeschi di Gerhard Shroeder, passando per Barak Obama o Hillary Clinton .
La finzione del merito – La meritocrazia, ricorda Sandel, nella realtà non esiste. Negli Stati Uniti, gli studenti della Ivy League (il gruppo di università più prestigiose del paese, ndr) provenienti dal 50% più povero della popolazione sono il 4% del totale. Gli alunni che arrivano dall’1% delle famiglie più abbienti sono di più di quelli che provengono dal 50% meno benestante. Spesso chi viene ammesso nelle scuole di élite non è più intelligente o più meritevole. Spesso è solo chi ha avuto alle spalle una famiglia che lo ha sostenuto negli studi, gli ha permesso di frequentare corsi di preparazione ai test di ammissione o di fare sport come la vela o l’equitazione che danno “crediti” e facilitano l’ammissione. In Europa la situazione è meno estrema, almeno in certi paesi, ma la direzione è la stessa e la retorica meritocratica è altrettanto tambureggiante.
Il tradimento delle forza progressiste – Negli ultimi decenni la risposta delle forze progressiste alle diseguaglianze crescenti è stata sempre una: più scuola. “Per le forze politiche progressiste ogni problema economico è un problema di insufficiente educazione scolastica, in altri termini un fallimento degli “sconfitti” dalla globalizzazione nel procurarsi giuste competenze e giuste credenziali”, scrive Sandel. Usato in questo modo l’argomento diventa però uno specchietto per le allodole. Un modo per distogliere l’attenzione da altri fattori, più rilevanti, che hanno determinato e determinano l‘incremento delle iniquità, come l’azzeramento delle capacità contrattuali dei lavoratori, dovuto anche alla polverizzazione dei sindacati o come sistemi fiscali che favoriscono le fasce più benestanti della popolazione. La risposta che viene offerta è tutt’al più una via di fuga, non un rimedio.
“What you can earn depends on what you can learn”, quello che può guadagnare dipende da quanto tu impari, ripeteva ossessivamente Bill Clinton. E pazienza per chi era ormai fuori tempo massimo o per chi, anche volendo, all’università non ci poteva andare. La stessa litania è stata ripetuta da Barack Obama, Hillary Clinton e altri leader europei progressisti. L’espressione “you deserve”, tu meriti, voi meritate, compare su libri e articoli 4 volte di più rispetto al 1970.
Una società meritocratica significa arroganza, rancore e violenza – Siamo poi davvero convinti che edificare una società sul concetto di meritocrazia sia una buona scelta? Far passare l’idea, molto opinabile, che un individuo ricopra una certa posizione esclusivamente per i suoi meriti o demeriti è pericoloso. Tutto il merito di un successo o il peso di un fallimento viene caricato sul singolo individuo, assolvendo in toto l’organizzazione sociale di cui fa parte. Così, chi sta in vetta diventa arrogante, pensa si meritarsi tutto quello che ha, ed è meno incline ad atteggiamenti solidaristici. Chi sta in basso sviluppa sensi di colpa, per lo più immotivati. Il senso di colpa si evolve facilmente in rancore, peggio in violenza. Il professore Martin Delay dell’università dell’Ontario ha accuratamente documentato come il livello di diseguaglianze di una società ,sia la variabile più strettamente correlata al tasso di omicidi. E invece le elites sul concetto di meritocrazia ci marciano e ci marciano eccome. Un modo per lavarsi le mani, lasciare le cose come stanno e per giustificare i propri privilegi. Sandel definisce anche il concetto di “credenzialismo”: entri in certe cerchie sociali solo se puoi esibire determinate credenziali. Il valore di una laurea ad Oxford o ad Harvard risiede più in questo che nel livello di preparazione e competenze che fornisce. “Il credenzialismo è oggi l’unico pregiudizio socialmente accettato”, scrive Sandel e alimenta l’arroganza intellettuale di chi sta ai vertici.
“Probabilmente siamo troppo intelligenti, troppo sottili e raffinati”. Così un esponente dell’Esecutivo di Emmanuel Macron ha risposto a chi gli chiedeva, durante le proteste di piazza francesi, se il governo avesse sbagliato qualcosa. Il fatto che si possa arrivare a risposte di questo tipo la dice lunga di quanto siderale sia ormai la distanza che si è creata tra elites e gran parte dell’ elettorato. “Abbracciamo la globalizzazione e la prosperità che porta e usiamola per attenuare le sofferenze per le classi lavoratrici”, questa è stata la promessa che i partiti progressisti hanno fatto al loro elettorato tradizionale. Ma questa promessa non è mai stata mantenuta e quando le fasce si sentono abbandonate è naturale, e comprensibile, che cedano alle sirene del populismo.
Governare non si impara all’università – Tra l’altro, documenta Sandel, questa superiorità delle capacità di governo delle elites con credenziali è tutta da dimostrare. Le principali doti che dovrebbe avere chi governa sono visione politica e virtù civiche. Non esattamente quello che viene insegnato all’università. Come ricorda l’autore, alcuni dei presidenti statunitensi più apprezzati di sempre, come George Washington, Abramo Lincoln e Harry Truman non avevano frequentato il college. Frank Delano Roosvelt, che pure aveva studiato Haravard, contava nel suo entourage, diversi esponenti privi di “credenziali” universitarie tra cui lo strettissimo consigliere Harry Hopkins, era un assistente sociale. L’esito finale dei ragionamenti di Sandel non è affatto che l’istruzione non sia importante o che la cultura non abbia un valore. Non è neppure che tutti dovrebbero essere uguali impiegati alla pari. Non è una celebrazione dell’uno vale uno.
E’ semplicemente un invito a dare al “merito” il giusto significato, il giusto valore e a impiegarlo nei giusti contesti. Senza che diventi la (finta) stella polare delle nostre società come accaduto negli ultimi 40 anni. In precedenza la meritocrazia non era vista come un qualcosa di particolarmente desiderabile. L’assunto era che quello che una persona guadagna dipende in buona misura da fattori fuori dal suo controllo, come il livello di domanda di uno specifico talento e il fatto che i talenti e le capacità di cui una persona è dotata siano rari o molto diffusi. Poi le cose sono cambiate. I risultati, sia economici che sociali, sono tutt’altro che entusiasmanti.
Società
“La tirannia del merito”, nel libro di Michael Sandel tutti gli inganni e i pericoli della meritocrazia
Il conferimento dell'incarico a Mario Draghi ha riacceso il dibattito sul ruolo delle cosiddette élites. Che la distanza tra classi dirigenti e resto della popolazione sia aumentata è vero ma la discussione sinora condotta appare inconcludente e sterile perché impostata su ragionamenti deboli e approssimativi. Il nuovo libro del filosofo della politica di Harvard Sandel aiuta a rimettere la discussione sui giusti binari
Cosa c’è che non va nella meritocrazia? Da anni siamo talmente immersi in discorsi e racconti sulle meravigliose virtù di questa parola che è difficile persino porsi la domanda. Eppure sarebbe il caso di farlo, come argomenta il libro del docente di filosofia politica di Harvard Micheal Sandel. Qui si annidano infatti alcune delle ragioni che alimentano le simpatie nei confronti di movimenti populisti in tutto il mondo occidentale. Qui le origini dell’elezione di Donald Trump o della Brexit. Voti con il “dito medio” ma spesso molto più consapevoli di quanto non raccontano molti commentatori. Circoscritta ad alcuni ambiti la meritocrazia è qualcosa di sano e desiderabile. Non lo è più se viene utilizzata come prima pietra su cui edificare una società. Oppure come foglia di fico per nascondere la totale inazione dei governi in tema di ingiustizia sociale. Quello che invece hanno fatto negli anni le forze cosiddette progressiste, dai labouristi di Tony Blair (e tardivi imitatori italici), ai social democratici tedeschi di Gerhard Shroeder, passando per Barak Obama o Hillary Clinton .
La finzione del merito – La meritocrazia, ricorda Sandel, nella realtà non esiste. Negli Stati Uniti, gli studenti della Ivy League (il gruppo di università più prestigiose del paese, ndr) provenienti dal 50% più povero della popolazione sono il 4% del totale. Gli alunni che arrivano dall’1% delle famiglie più abbienti sono di più di quelli che provengono dal 50% meno benestante. Spesso chi viene ammesso nelle scuole di élite non è più intelligente o più meritevole. Spesso è solo chi ha avuto alle spalle una famiglia che lo ha sostenuto negli studi, gli ha permesso di frequentare corsi di preparazione ai test di ammissione o di fare sport come la vela o l’equitazione che danno “crediti” e facilitano l’ammissione. In Europa la situazione è meno estrema, almeno in certi paesi, ma la direzione è la stessa e la retorica meritocratica è altrettanto tambureggiante.
Il tradimento delle forza progressiste – Negli ultimi decenni la risposta delle forze progressiste alle diseguaglianze crescenti è stata sempre una: più scuola. “Per le forze politiche progressiste ogni problema economico è un problema di insufficiente educazione scolastica, in altri termini un fallimento degli “sconfitti” dalla globalizzazione nel procurarsi giuste competenze e giuste credenziali”, scrive Sandel. Usato in questo modo l’argomento diventa però uno specchietto per le allodole. Un modo per distogliere l’attenzione da altri fattori, più rilevanti, che hanno determinato e determinano l‘incremento delle iniquità, come l’azzeramento delle capacità contrattuali dei lavoratori, dovuto anche alla polverizzazione dei sindacati o come sistemi fiscali che favoriscono le fasce più benestanti della popolazione. La risposta che viene offerta è tutt’al più una via di fuga, non un rimedio.
“What you can earn depends on what you can learn”, quello che può guadagnare dipende da quanto tu impari, ripeteva ossessivamente Bill Clinton. E pazienza per chi era ormai fuori tempo massimo o per chi, anche volendo, all’università non ci poteva andare. La stessa litania è stata ripetuta da Barack Obama, Hillary Clinton e altri leader europei progressisti. L’espressione “you deserve”, tu meriti, voi meritate, compare su libri e articoli 4 volte di più rispetto al 1970.
Una società meritocratica significa arroganza, rancore e violenza – Siamo poi davvero convinti che edificare una società sul concetto di meritocrazia sia una buona scelta? Far passare l’idea, molto opinabile, che un individuo ricopra una certa posizione esclusivamente per i suoi meriti o demeriti è pericoloso. Tutto il merito di un successo o il peso di un fallimento viene caricato sul singolo individuo, assolvendo in toto l’organizzazione sociale di cui fa parte. Così, chi sta in vetta diventa arrogante, pensa si meritarsi tutto quello che ha, ed è meno incline ad atteggiamenti solidaristici. Chi sta in basso sviluppa sensi di colpa, per lo più immotivati. Il senso di colpa si evolve facilmente in rancore, peggio in violenza. Il professore Martin Delay dell’università dell’Ontario ha accuratamente documentato come il livello di diseguaglianze di una società ,sia la variabile più strettamente correlata al tasso di omicidi. E invece le elites sul concetto di meritocrazia ci marciano e ci marciano eccome. Un modo per lavarsi le mani, lasciare le cose come stanno e per giustificare i propri privilegi. Sandel definisce anche il concetto di “credenzialismo”: entri in certe cerchie sociali solo se puoi esibire determinate credenziali. Il valore di una laurea ad Oxford o ad Harvard risiede più in questo che nel livello di preparazione e competenze che fornisce. “Il credenzialismo è oggi l’unico pregiudizio socialmente accettato”, scrive Sandel e alimenta l’arroganza intellettuale di chi sta ai vertici.
“Probabilmente siamo troppo intelligenti, troppo sottili e raffinati”. Così un esponente dell’Esecutivo di Emmanuel Macron ha risposto a chi gli chiedeva, durante le proteste di piazza francesi, se il governo avesse sbagliato qualcosa. Il fatto che si possa arrivare a risposte di questo tipo la dice lunga di quanto siderale sia ormai la distanza che si è creata tra elites e gran parte dell’ elettorato. “Abbracciamo la globalizzazione e la prosperità che porta e usiamola per attenuare le sofferenze per le classi lavoratrici”, questa è stata la promessa che i partiti progressisti hanno fatto al loro elettorato tradizionale. Ma questa promessa non è mai stata mantenuta e quando le fasce si sentono abbandonate è naturale, e comprensibile, che cedano alle sirene del populismo.
Governare non si impara all’università – Tra l’altro, documenta Sandel, questa superiorità delle capacità di governo delle elites con credenziali è tutta da dimostrare. Le principali doti che dovrebbe avere chi governa sono visione politica e virtù civiche. Non esattamente quello che viene insegnato all’università. Come ricorda l’autore, alcuni dei presidenti statunitensi più apprezzati di sempre, come George Washington, Abramo Lincoln e Harry Truman non avevano frequentato il college. Frank Delano Roosvelt, che pure aveva studiato Haravard, contava nel suo entourage, diversi esponenti privi di “credenziali” universitarie tra cui lo strettissimo consigliere Harry Hopkins, era un assistente sociale. L’esito finale dei ragionamenti di Sandel non è affatto che l’istruzione non sia importante o che la cultura non abbia un valore. Non è neppure che tutti dovrebbero essere uguali impiegati alla pari. Non è una celebrazione dell’uno vale uno.
E’ semplicemente un invito a dare al “merito” il giusto significato, il giusto valore e a impiegarlo nei giusti contesti. Senza che diventi la (finta) stella polare delle nostre società come accaduto negli ultimi 40 anni. In precedenza la meritocrazia non era vista come un qualcosa di particolarmente desiderabile. L’assunto era che quello che una persona guadagna dipende in buona misura da fattori fuori dal suo controllo, come il livello di domanda di uno specifico talento e il fatto che i talenti e le capacità di cui una persona è dotata siano rari o molto diffusi. Poi le cose sono cambiate. I risultati, sia economici che sociali, sono tutt’altro che entusiasmanti.
Articolo Precedente
Su età e criteri per le vaccinazioni. Fermate i governatori che vogliono fare i protagonisti
Articolo Successivo
I miei figli apprendono veloci, io poco per volta: d’altra parte ‘Siamo fatti così’
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Da Il Fatto Quotidiano in Edicola
“Vendo io le borse Hermès false a Santanchè”. Perché ora la ministra del Turismo rischia
Mondo
Germania al voto tra industria in crisi e lo spettro Afd. Per il nuovo leader Merz il governo sarà un rebus. “Non farà di Trump il suo avversario” | L’intervista
Cronaca
Autovelox, la stessa sezione della Cassazione ora cambia idea: ma sull’omologazione crea altro caos. Intanto il Mit annuncia un decreto
Roma, 22 feb. (Adnkronos Salute) - Ansia e depressione, nei pazienti con cancro, peggiorano la risposta alle cure e riducono la sopravvivenza. Lo evidenziano i risultati di uno studio (Stress Lung) pubblicato su 'Nature Medicine' e condotto su 227 pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule in stadio avanzato e trattati in prima linea con farmaci immunoterapici. A 2 anni, solo il 46% dei pazienti con distress emozionale, in particolare ansia e depressione, era vivo rispetto al 65% delle persone colpite dal carcinoma polmonare, ma senza segni di disagio psicologico. In Italia lo psicologo dedicato all'oncologia è presente, sulla carta, in circa la metà dei centri, in realtà solo il 20% delle strutture dispone di professionisti formati per affrontare il disagio mentale determinato dal cancro. Per contribuire a colmare questa lacuna nasce 'In buona salute', la prima piattaforma online di psiconcologia in Italia (inbuonasalute.eu), presentata ieri a Milano, in un incontro con la stampa. Si tratta di un luogo sicuro, accessibile e altamente professionale - riporta una nota - dove pazienti, caregiver e operatori sanitari possono ricevere un aiuto qualificato, senza limiti di tempo o spazio.
"Si stima che più del 50% dei pazienti oncologici sviluppi livelli significativi di distress emozionale che hanno un impatto negativo sulla qualità di vita, sull'adesione ai trattamenti e, quindi, sulla sopravvivenza - spiega Gabriella Pravettoni, responsabile scientifico di 'In buona salute', direttrice della divisione di Psiconcologia dell'Istituto europeo di oncologia e professoressa di Psicologia delle decisioni all'Università degli Studi di Milano - Il sostegno psiconcologico è fondamentale prima, durante e dopo le cure. Sono contenta che ci siano iniziative di questo genere dove si possa offrire un supporto concreto e personalizzato a chi affronta il tumore, attraverso un percorso di cura psicologica mirato e focalizzato al miglioramento del benessere mentale durante ogni fase della malattia".
Dopo aver completato un questionario online, la piattaforma suggerisce lo specialista più in linea con le necessità di ogni persona. E' infatti disponibile un team di psiconcologi certificati, impegnati a fornire un aiuto prezioso a pazienti, caregiver e operatori sanitari. Nella piattaforma è possibile trovare risorse, supporto emotivo e informazioni affidabili. E' consigliato un ciclo di 10 sedute online di 50 minuti.
"Troppo spesso i risvolti psicologici di una diagnosi di cancro sono lasciati in seconda linea, rispetto ai bisogni strettamente clinici - continua Pravettoni - Vanno considerate le difficoltà dei medici a discutere di questi argomenti durante la visita, anche per mancanza di tempo, e la riluttanza dei pazienti a confidarli, talvolta per lo stigma ancora associato ai problemi legati alla salute mentale. Anche quando i problemi psicologici vengono riconosciuti, non è facile gestirli nella pratica clinica. Non esiste, infatti, un modello di valutazione e intervento adatto a tutte le circostanze. Anche il supporto psiconcologico deve adeguarsi e rispondere ai bisogni dei pazienti, adottando tutti gli strumenti utili, incluse le sedute online".
Nel 2024, nel nostro Paese, sono stati stimati 390.100 nuovi casi di tumore. Grazie ai programmi di screening e ai progressi nelle terapie, aumenta il numero di persone che vivono dopo la diagnosi: nel 2024 erano circa 3,7 milioni. "La cura a 360 gradi di questi cittadini deve implicare una maggiore attenzione alle conseguenze psicologiche della malattia - afferma Lucia Del Mastro, professore ordinario e direttore della Clinica di Oncologia medica dell'Irccs Ospedale policlinico San Martino, Università di Genova - Il distress emozionale nelle persone colpite dal cancro è una condizione frequente, che ha un impatto negativo sulla qualità della vita e sulla sopravvivenza. I pazienti oncologici con sintomi depressivi mostrano, inoltre, una minor aderenza ai protocolli terapeutici. Uno studio retrospettivo ha indagato il grado di accettazione della chemioterapia adiuvante in donne con carcinoma della mammella: tra le pazienti con depressione che non hanno richiesto aiuto psicologico, solo il 51% ha accettato di sottoporsi alla chemioterapia. L'associazione tra sintomi depressivi e riduzione della sopravvivenza può essere dovuta non solo alla mancata aderenza terapeutica, ma anche alla risposta allo stress cronico e ai meccanismi immunitari implicati".
Per garantire "servizi adeguati di psiconcologia - prosegue Del Mastro - serve non solo un potenziamento delle risorse, ma anche riconoscere il ruolo dello psiconcologo all'interno del team multidisciplinare. Inoltre, i pazienti devono essere informati di più e meglio sull'opportunità di beneficiare di questi servizi. Ad esempio, la norma che ha istituito in Italia le Breast unit ha stabilito che, all'interno dei team multidisciplinari, siano inclusi gli psiconcologi, ma troppo spesso nei centri di senologia mancano professionisti strutturati, sostituiti da figure che lavorano con contratti precari. Ecco perché sono importanti progetti come 'In buona salute', che possono rispondere alle esigenze di supporto emotivo dei pazienti. Va considerata anche la facilità di accesso al servizio online, perché non è necessario spostarsi per accedere alle strutture, vantaggio importante soprattutto quando si tratta di pazienti fragili in trattamento".
Aggiunge Rosanna D'Antona, presidente di Europa Donna Italia: "Già dalla diagnosi la donna si trova a affrontare una serie di problematiche che afferiscono all'ambito psicologico. Stress, disturbi d'ansia, depressione, immagine corporea alterata, difficoltà nella sfera emotiva, familiare e di coppia, sono le più comuni di un elenco purtroppo molto lungo. Grazie anche all'aiuto dello psiconcologo, è possibile per la paziente sviluppare una capacità di adattamento e di autogestione di fronte alla malattia, arrivare cioè a quello stato di resilienza necessario a superare le difficoltà nel percorso di cura. Lo psiconcologo dovrebbe essere presente, insieme all'oncologo medico, fin dall'inizio, ad ogni colloquio, anche se siamo ben consapevoli della carenza di personale dedicato e della precarietà degli incarichi".
"Mentre ci impegniamo con forza affinché questi limiti vengano superati e si rispettino le linee guida europee che prevedono la presenza dello psiconcologo in tutte le Breast Unit, accogliamo con favore la disponibilità di una piattaforma online con figure specializzate - conclude - a cui pazienti e familiari possano rivolgersi con la certezza di trovare un supporto qualificato".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Sono vicino all’amico Mario Occhiuto con tutti i senatori di Forza Italia in questo momento di immenso dolore per la scomparsa del figlio". Lo scrive sul suo profilo X il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri per la morte di Francesco Occhiuto, figlio 30enne del senatore ed ex sindaco di Cosenza.
"Gli siamo vicini nella preghiera e con la fraterna amicizia, che gli testimoniamo per essergli accanto in un momento drammatico per lui e per la sua famiglia. Che abbracciamo tutta, con un pensiero a Roberto", conclude.
Mosca, 22 feb. (Adnkronos) - Un secondo incontro tra i rappresentanti di Russia e Stati Uniti è previsto entro le prossime due settimane. Lo ha annunciato il vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov, citato dall'agenzia di stampa statale Ria, aggiungendo che l'incontro avrà luogo in un paese terzo.
Reggio Emilia, 22 feb. - (Adnkronos) - Residui di amianto e carni in stato di decomposizione. E' cresciuta la preoccupazione dei cittadini di Reggio Emilia nei dieci giorni trascorsi dalla mattina dell’11 febbraio, quando si sono svegliati osservando una nube di fumo in cielo causata dall’incendio dello stabilimento della multinazionale Inalca, tra i leader internazionali per la lavorazione di carni fresche.
Nelle ultime ore, in seguito al parziale dissequestro dell’area, il sindaco reggiano Marco Massari ha quindi emanato un’ordinanza di bonificaper la presenza di residui di amianto e carni in stato di decomposizione negli spazi dove si era sviluppato l’incendio (VIDEO).
L’ordinanza si fonda sul referto del Dipartimento di Sanità ed Igiene pubblica dell’Ausl di Reggio Emilia, da cui emerge che “l’area scoperta dell’impianto identificata come area cortiliva, contenuta nel perimetro esterno del complesso e non sottoposta a sequestro giudiziario, risulta interessata da frammenti di cemento amianto ed è necessario adottare misure precauzionali atte ad impedire la dispersione di fibre attraverso la raccolta ad umido o con aspiratori a filtro assoluto”.
Inoltre, dallo stesso referto emerge che diversi alimenti di varia origine - tra cui consistenti quantità di provenienza animale, stoccati nel magazzino della ditta Quanta Stock&Go, anch’esso parzialmente coinvolto nell'incendio - stanno subendo un “normale processo di putrefazione che determina la necessità di provvedere con urgenza alla rimozione e smaltimento degli stessi”.
Gaza City, 22 feb. (Adnkronos) - Ha doppia cittadinanza israeliano e austriaca Tal Shoham, rapito insieme alla sua famiglia il 7 ottobre del 2023 dal kibbutz Be'eri. Era invece tenuto in prigionia da 11 anni Avera Mengistu, ebreo di origini etiopi entrato per errore nella Striscia di Gaza nel 2014. Sono loro i primi ostaggi rilasciati oggi da Hamas a Rafah, dopo essere fatti salire sul palco allestito davanti alla folla con le stesse modalità adottate in precedenza.
Il primo a salire sul palco è stato Tal Shoham, 39 anni, rapito dalla sua casa insieme ad altri otto membri della sua famiglia Tra questi c'erano Shoshan Haran, 67 anni, Avshalom Haran, 66 anni, Lilach Lea Kipnis, 60 anni, Adi Shoham, 38 anni, Naveh Shoham, 8 anni, Yahel Gani Shoham, 3 anni, Sharon Avigdori, 52 anni e Noam Avigdori, 12 anni. Il 7 ottobre Shoham era in visita a Be'eri per la festività di Simchat Torah con la moglie e i figli perché sua moglie era cresciuta lì. Anche la moglie e i figli di Shoham sono stati presi in ostaggio da Hamas e tenuti insieme, ma separati da Tal. Sua moglie Adi e i figli Naveh e Yahel, ora di 9 e 4 anni, sono stati rilasciati nel primo accordo di sequestro il 25 novembre 2023, dopo 50 giorni.
Il secondo a essere rilasciato oggi da Hamas è stato Mengistu, un ebreo israeliano di origine etiope che secondo i medici soffriva di una malattia psichiatrica quando attraversò il confine con la Striscia di Gaza il 7 settembre 2014. Nato in Etiopia, emigrato in Israele all'età di cinque anni con la sua famiglia come parte dell'Operazione Salomone. E' cresciuto ad Ashkelon con i suoi otto fratelli e sorelle. Dopo che suo fratello maggiore, Michael, ha sofferto di anoressia ed è morto all'età di 29 anni, il suo stato mentale è peggiorato e ha iniziato a condurre lunghe marce da solo in tutto Israele.
L'uomo, ora 38enne, aveva 28 anni quando è entrato nella parte settentrionale della Striscia di Gaza dopo aver litigato con la madre, secondo Human Rights Watch. Hamas sostiene che sia un soldato, un'affermazione contestata sia da Human Rights Watch sia dalla sua famiglia. Nel gennaio 2023 Hamas diffuse un video in cui chiedeva a Israele di negoziare la sua liberazione.
Gaza, 22 feb. (Adnkronos) - Gli ostaggi israeliani Tal Shoham e Abera Mengistu sfilano sul palco a Rafah davanti ad Hamas prima della loro liberazione dalla prigionia. Un rappresentante della Croce Rossa Internazionale sta firmando i documenti per il loro rilascio.
Tel Aviv, 22 feb. (Adnkronos) - Israele ha pubblicato l'elenco dei 602 prigionieri palestinesi che intende liberare oggi dopo la restituzione degli ostaggi da parte di Hamas. Tra questi, 60 prigionieri erano stati condannati a lunghe pene detentive, 50 a ergastolo.