Matteo Renzi ha fatto fuori Conte e l’esperienza “giallorossa” con un oggettivo sgambetto che ha partorito Mario Draghi.

Non siamo certo noi a perder tempo in retroscena, recriminazioni ed invettive. Noi ci aspettiamo soluzioni da lì, chiunque ci sarà dovrà passare, perché i nomi cambiano ma i disastri ambientali e la necessità di una nuova governance diventano di giorno in giorno più urgenti. A maggior ragione dopo l’audizione avuta il 2 febbraio con la Commissione Ambiente e Territorio della Camera diventa necessario verificare le priorità di investimento degli oltre 210 miliardi del Pnrr che non possono non andare a finanziare progetti di riconversione ecologica dell’economia e di green new deal.

Vedremo se Draghi accetterà l’invito dello “sfascista” Renzi ad azzerare il Recovery Plan dell’ex Governo riaprendo le porte all’offensiva stoppata dell’industria sporca ed assistita oppure se, anche per rispetto al lavoro svolto, continuerà almeno su quel terreno, che è poi il più importante a mantenere l’apertura verso la centralità della questione ambientale (che però nella comunicazione di tutti i partiti, chissà perché, non appare mai!).

Certo è che probabilmente Berlusconi sarà uno dei “padri” di questo Governo insieme a Renzi e che già per questo il nuovo Governo potrebbe somigliare, seppure in un contesto drammaticamente diverso segnato dalla pandemia che sembra presagire – speriamo di sbagliarci ma le avvisaglie ci sono tutte, comprese le “aperture” delle piste da sci – una fase 3, a una riedizione del Governo Monti.

Ma non sarà cosi. Da un lato, un nuovo Governo Draghi non può essere solo un governo tecnico fantoccio delle oligarchie dei potentati. In quel modo non potrebbe avere i necessari voti in Parlamento a partire dai gruppi parlamentari dei 5 stelle, ma anche di settori importanti del Pd e di LeU.

Ma soprattutto perché il Recovery Plan dev’essere all’altezza di un percorso partecipato anche dal basso, centrato sulle priorità della governance ambientale.

Se questo non avverrà non solo si perderà un’occasione unica per imboccare la giusta strada giunti al bivio tracciato dalla pandemia originata ed avvelenata dalla crisi ambientale globale, ma chiunque dovesse fallire in questa sfida dovrà render conto perennemente alla future generazioni.

Oggi separare la salute, la scuola, il lavoro e l’impresa dalla conversione ecologica riproponendo modelli basati su “pane e fumo” e mettendo al centro non il lavoro ma i profitti dell’industria sporca e della finanza sarebbe un ritorno al passato impensabile, tanto più in un contesto europeistico che, almeno sulle questioni ambientali, appare determinato a non arretrare.

È ormai tempo di aria pulita, basta con i cortigiani di sempre e i giochetti di palazzo tanto cari ai circoli massonici. Vogliamo una governance di respiro: in ballo non ci sono i pochi anni di un mandato istituzionale, c’è il futuro dei prossimi trent’anni!

Ecco perché in questa fase non stiamo a guardare la tv con i pop-corn ma, nonostante le giuste restrizioni imposte dalla pandemia, staremo con il fiato sul collo a chi dovrà prendere le decisioni. Intanto rafforziamo l’area della Rivoluzione Ecologica.

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