Ultimo giro del tavolo e ultima occasione per la nascita del governo. Oggi e domani Mario Draghi vede per la seconda volta i partiti e dovrà fare quella “sintesi” che ha promesso alle forze politiche. Si apre la fase più delicata di tutte: l’ex presidente della Bce ha ottenuto i Sì della maggioranza che ha sostenuto il governo Conte 2, ma anche quelli di Lega e Forza Italia. Un solo partito ha annunciato che vuole stare fuori dal gioco: Fratelli d’Italia. Fin qui tutto chiaro. Ora però tocca a Draghi: sarà lui a dover spiegare con quale incantesimo intende tenere insieme forze così distanti e dimostrare quelle doti che gli vengono attribuite praticamente all’unanimità. Come può esserci un dialogo tra sovranisti e giallorossi? Solo ieri sera Giuseppe Conte è intervenuto all’assemblea dei parlamentari M5s è li ha spinti a stare al tavolo, soprattutto per “vigilare” sulla Lega, partito che “teme” e del quale non si fida. Ma soprattutto, ha rivelato che “si cercherà di porre condizioni tali che alcuni soggetti non potranno più rimanere al tavolo“. Potrebbe essere questa quindi, la strategia su cui si sta lavorando. Ovvero la differenza la farà l’agenda: affrontate le emergenze per il Paese, i temi su cui verrà incardinata l’azione di governo, escluderanno automaticamente una o l’altra parte. L’europeismo ad esempio, sarà il pilastro fondante della formazione di governo, di certo molto indigesto per la Lega. A dividere poi potrebbero essere nodi cruciali: reddito di cittadinanza e flat tax, tanto per fare un esempio. Ma pure la rivoluzione sull’ambiente o addirittura la proposta di una patrimoniale. Senza dimenticare le riforme della giustizia. La squadra è l’altro tassello fondamentale: il modello che Draghi sembra voler seguire è quello del governo Ciampi del 1993, quindi un misto di tecnici e politici. E anche la scelta dei nomi, sui quali finora c’è stato assoluto riserbo, delimiterà per forza di cose il perimetro della nuova maggioranza.

Maggioranza larga o larghissima? – L’appello del Colle alla responsabilità è la scintilla che ha mosso la maggior parte dei partiti a considerare il sostegno all’esecutivo Draghi. Ma tra le intenzioni e la pratica, rimangono distanze (in alcuni casi abissi) da dover colmare. Partiamo dai giallorossi: le forze che hanno sostenuto il governo uscente, hanno dato la loro adesione. Ma con diverse spinte. Il Partito democratico ha chiesto che si lavori a un “governo di lunga durata”. Per il Movimento 5 stelle la scelta è molto più complessa: una parte consistente dei gruppi parlamentari (e pure dei vertici) si è da subito schierata per il No e la sterzata verso la “responsabilità” è stata resa possibile solo dall’intervento di Beppe Grillo prima e da quello di Conte poi. Proprio il ritorno sulla scena del garante del Movimento e il suo lavoro a favore dell’accordo, consacrato da una telefonata privata con l’ex presidente della Bce, hanno permesso di avviare la collaborazione e cambiare la prospettiva. Perché se c’è il Sì della forza più consistente in Parlamento, si può pensare di lavorare nel perimetro della maggioranza uscente. Intanto i 5 stelle invocano un “governo politico” e sperano nella riconferma dei loro ministri in alcune delle caselle più importanti. Non merita molti commenti Italia viva, che si è detta favorevole a qualsiasi condizione, cancellando con un colpo di spugna tutte quelle richieste “imprescindibili” che hanno fatto saltare l’ipotesi Conte ter (nessuna traccia di Mes o ponte sullo Stretto). E il cui leader rivendica come grande successo l’aver aperto la crisi, portato Draghi al comando e il centrodestra (probabilmente) in maggioranza. Resta Leu, che si è detta favorevole, ma a fatica potrebbe sopportare l’accordo con i sovranisti.

Ecco, la collocazione delle destre rimane il nodo da sciogliere. Forza Italia lo ha detto in tutte le salse: c’è, ci sta, è entusiasta. Anzi ha tranquillizzato i futuri alleati che non sarebbe una “maggioranza politica”, come a dire di stare tranquilli che nessuno sarà contaminato e di certo non nasce alcun laboratorio. Addirittura hanno evitato (per un pelo) che Silvio Berlusconi andasse personalmente a incontrare Draghi: ufficialmente è stato bloccato per motivi di salute, di fatto ha tolto dalle telecamere il volto più ingombrante di tutti. Per i 5 stelle rimane proprio lui il vero ostacolo all’ingresso nel governo: possono accettare tutto, ma non di sedere al tavolo con l’ex Cavaliere e con il suo partito (nelle chat M5s c’è chi ricorda quando Di Maio, marzo 2019, si rifiutò di rispondere alla telefonata di Berlusconi). E’ vero, c’è un precedente e si chiama “maggioranza Ursula”, ovvero il voto che ha unito Pd-M5s-Fi per l’elezione della presidente della commissione Ue. Ma non basta: era un voto soltanto, a Bruxelles, e non certo un progetto di esecutivo. Per questo Draghi sa che nel disegnare il nuovo perimetro di maggioranza dovrà tenere presente le posizioni dei due nemici giurati e delle loro condizioni. L’altro problema si chiama Lega. Matteo Salvini, dopo le ambiguità e le minacce a giorni alterni, un po’ a sorpresa ha annunciato che il Carroccio ci sta senza veti. Ha chiesto un governo “breve e che arrivi a elezioni presto” e già in questo si è differenziato dai democratici. Si racconta, ed è molto credibile, che a convincerlo definitivamente sia stato Giancarlo Giorgetti. Ma su quali basi lo schema del “tutti dentro come nel dopoguerra” potrebbe vedere la luce? Il leader ha detto che “non è facile per lui”, ma lo fa per avere voce in capitolo sui 200 miliardi in arrivo dall’Europa. Ottimo, su questo sono d’accordo tutti. Ma poi in concreto come intende fare? Questa settimana, per dire, il Parlamento Ue vota il Next Generation Ue e il Carroccio si è sempre schierato contro. Voterà a favore d’ora in poi e romperà l’asse con Fratelli d’Italia? Insomma, da qui a dire che è nata una nuova maggioranza ce ne passa.

La squadra e l’agenda – In parallelo vanno avanti le discussioni sui nomi. Forse mai prima d’ora toto-ministri era stato più difficile. Non girano veline o indiscrezioni, Draghi è blindatissimo, e le ricostruzioni sono affidate alle fantasie di politici e giornali. Il modello potrebbe essere appunto il governo Ciampi (1993), tenendo dentro sia tecnici che politici. C’è chi assicura che saranno “sicuramente per la maggior parte tecnici”, per corrispondere il più possibile all’idea di “governo dei migliori” sbandierata da Renzi e rivendicata da Forza Italia. E chi invece si dice sicuro che Draghi dovrà tenere presente le richieste dei partiti e in particolare quelle del M5s che ha vincolato il suo Sì alla creazione di un esecutivo politico. Certo è che, se l’obiettivo è raccogliere l’appoggio di tutte le forze, i nomi al tavolo non potranno essere “indigesti” per l’una o per l’altra parte, a costo di perdere pezzi per strada. I papabili candidati ministri che circolano in queste ore si basano perlopiù più sui desiderata dei partiti e al momento non c’è nessuna notizia che abbia un vero fondamento. Di certo c’è solo che la lista, finite le consultazioni (martedì), sarà poi discussa con il Colle e solo da lì uscirà la quadra definitiva.

Strettamente collegata ai nomi, c’è l’agenda del futuro governo Draghi. Il presidente incaricato, subito dopo l’incontro al Colle, ha elencato le priorità sulle quali dovrà muoversi. Innanzitutto il piano vaccini e la scrittura del Recovery plan. Poi la proroga del blocco dei licenziamenti (scade a fine marzo). Su questi tre punti l’esecutivo, in un Parlamento chiamato alla responsabilità nazionale, potrebbe trovare l’accordo generale. Certo, non senza difficoltà per le diverse posizioni e priorità. Ma i veri problemi sono destinati a nascere se l’agenda dovesse andare più sul lungo periodo. Tra le priorità del Partito democratico c’è ad esempio la riforma fiscale. Che di sicuro non è sulle stesse posizioni della Lega o Forza Italia. Per non parlare dell’ipotesi di una tassa patrimoniale, che solo tre giorni fa ha definito “auspicabile” anche la Corte dei conti, ma che in Parlamento non ha mai avuto speranze. Leu l’ha detto proprio chiaramente: “Se si torna a parlare di flat tax“, come vuole il Carroccio, “noi non ci stiamo”. Un piano molto dettagliato di proposte è arrivato da Beppe Grillo: sabato, poco prima di iniziare l’incontro con Draghi, ha pubblicato sul suo blog 10 proposte su ambiente e giovani. Molte di queste radicali, dalla creazione di un ministero per la Transizione ecologico alla guerra ai sussidi nocivi per l’ambiente. Ma se con i dem l’asse ecologista può funzionare, come si concilierà con le altre forze che hanno sempre prediletto grandi opere e inceneritori? Infine, ma in coda non certo per importanza, resta il nodo cruciale della giustizia. Su Alfonso Bonafede e la legge sulla prescrizione sono caduti due governi, impossibile che il Movimento possa accettare compromessi. Ma il capitolo dovrà essere affrontato dal prossimo governo e allora farà davvero la differenza chi sarà seduto al tavolo del consiglio dei ministri. Ecco, di tutto questo magma, Draghi deve riuscire a fare una sintesi.

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