Sono tornate in classe anche le scuole superiori calabresi che, come già per diverse altre regioni, hanno ripreso le attività nella modalità della didattica mista: metà classe in presenza e metà classe a distanza, collegata in dad da casa.
A questa modalità il governatore calabrese facente funzioni Nino Spirlì ha aggiunto, con un’ordinanza firmata a quasi 24 ore dal rientro del primo di febbraio, la facoltà di scelta per ogni famiglia e, a prescindere dalla turnazione della didattica mista, di far stare in dad, senza rientro alcuno, i propri ragazzi.
Insomma, qualsiasi cosa succeda, eventuali focolai e contagi fra ragazzi e famiglie, l’amministrazione ha dato facoltà di scelta, e a scuola si va spesso per insegnare in classi con pochissimi alunni in presenza, mentre tutti gli altri seguono a distanza.
A prescindere però da questo particolare, certo di non poco conto, è la didattica mista stessa a rappresentare, in termini di fattibilità, un problema non indifferente: quando, dall’alto dei palazzi governativi, la si impone come formula di rientro scolastico, si dovrebbero tenere in considerazione le specificità dei territori che si è chiamati ad amministrare.
Nel caso calabrese, come – e in misure diverse a seconda delle diverse latitudini – in tanti altri casi regionali, chiedere alle scuole del territorio la didattica mista equivale, per usare un’immagine evocativa, a pretendere che una Fiat 500 partecipi ai mondiali di Formula 1, o che si giunga sulla luna con un elicotterino telecomandato.
Esattamente così: una buona fetta delle scuole calabresi, come di chissà quanti altri territori, non possiede affatto i mezzi necessari per l’erogazione di un simile servizio didattico, ledendo di fatto il diritto allo studio tanto per i ragazzi da casa quanto per quelli in presenza.
A prescindere dal fatto che la didattica mista implichi due diverse metodologie didattiche molto difficilmente erogabili simultaneamente, se non con un super sforzo lavorativo da parte del docente – al quale sarebbe dunque il caso venga adeguato, come a qualsiasi lavoratore oggetto di sovra-mansionamento, il salario –, sono numerosissime le scuole della regione Calabria a non possedere i mezzi necessari perché la didattica mista richiesta sulla carta si trasformi in una concreta realtà.
Non ci sono i pc e le linee internet non sono tanto potenti da supportare la dad per più della metà degli alunni di ogni singola classe.
Risultato? Senza che nessuno glielo abbia cortesemente chiesto, senza che il proprio contratto minimamente lo preveda, i docenti si sono trovati costretti, con raro spirito di abnegazione e al solo scopo di non far perdere ore di lezione ai propri alunni in dad, a mettere a disposizione del pubblico servizio beni privati come pc, tablet, smartphone e linee internet.
Senza voler esagerare, e sempre con lo dovute proporzioni, sarebbe come se il netturbino fosse chiamato a pulire le strade con scopa e paletta casalinghe, l’agente di polizia a inseguire i delinquenti con la propria auto e il medico a operare con strumenti portati da casa: “Lo stiamo perdendo, bisturi! Nooo, l’ho lasciato in soggiorno!”, e il paziente muore.
Questa la situazione per quel che riguarda i mezzi tecnologici, ma sul versante sanitario non si può certo dire vada meglio: avendo scelto, ai fini di una messa in sicurezza scolastica e nel bel mezzo di una pandemia, di investire su strumenti del tutto inutili come i banchi monoposto con le rotelle, il governo non ha potuto concentrare i propri sforzi sull’unico intervento in grado di assicurare un rientro in presenza sicuro e sanitariamente sostenibile: impianti di areazione e/o sanificazione dell’aria utili al fine di poter fare lezione tenendo al contempo le finestre chiuse.
Il freddo invernale sta rendendo surreale una situazione già oltremodo aggravata da didattiche miste e quant’altro: ragazzi e docenti, costretti a far areare tenendo le finestre perennemente spalancate, fanno lezione coperti da giubbotti, plaid o coperte di vario genere.
La didattica, così, muore: muore all’insegna di un diritto allo studio sbandierato, propagandato ma, nella sostanza, mai garantito.