L'associazione ambientalista e Compassion in World Farming chiedono una chiara tabella con cui identificare con facilità se le vacche da latte sono tenute al pascolo, a stabulazione libera o fissa, ossia legate. Sarebbe anche uno strumento per indirizzare bene i fondi europei. "Il sottocosto lo paghiamo comunque, anche maggiorato e con soldi delle tasse, in danni alla salute e all’ambiente”, spiega Antonio Morabito, responsabile Benessere animale di Legambiente
Dopo la proposta di etichettatura secondo il metodo di allevamento per il settore suinicolo, Compassion in World Farming (CIWF) e Legambiente presentano anche quella per le vacche da latte: una chiara tabella con cui identificare con facilità i diversi metodi di allevamento oggi attuati in Italia, per esempio al pascolo, a stabulazione libera o fissa, ossia con le vacche legate. Perché, quando acquista la carne, il consumatore ha diritto di avere queste informazioni, oggi non disponibili neppure sulle confezioni dove, invece, appaiono ormai da qualche anno scritte come ‘benessere animale’, dietro la quale non sempre c’è quello che ci si aspetterebbe. E non è un caso se, in diretta Facebook, nel corso di un incontro moderato dalla conduttrice e blogger ambientalista Tessa Gelisio, le associazioni lanciano un appello al prossimo governo affinché, attraverso il Ministero delle Politiche Agricole, il Ministero della Salute e Accredia (l’Ente Unico nazionale di accreditamento designato dal governo italiano ad attestare la competenza, l’indipendenza e l’imparzialità degli organismi di certificazione e dei laboratori di prova e taratura) “operi con maggiore trasparenza rispetto ai precedenti, coinvolgendo pienamente la società civile, e quindi i consumatori, nella creazione degli standard nazionali di ‘certificazione del benessere animale’”.
UN’ETICHETTATURA VOLONTARIA, UNIVOCA E NAZIONALE – Attualmente le etichette presenti sul mercato possono essere anche molto fuorvianti: claim che si riferiscono a ‘verdi pascoli’, così come etichette e certificazioni disomogenee sul benessere animale, creano confusione e aumentano il rischio di veicolare informazioni poco chiare, rendendo impossibile al consumatore districarsi e, soprattutto, fare scelte di acquisto coerenti con quello che effettivamente vorrebbero mangiare. L’etichettatura presentata oggi, che descrive i diversi sistemi di allevamento delle vacche da latte, scatta una fotografia chiara della situazione attuale e consentirebbe di capire subito da che tipo di allevamento proviene la carne che mangiamo. Si sottolinea sia l’importanza della dismissione dei sistemi alla posta, dove le vacche possono trascorrere anche tutta la propria vita legate, sia dell’accesso al pascolo, che consente alle vacche di esprimere comportamenti naturali propri dei ruminanti.
SEI TIPOLOGIE DI ALLEVAMENTI – Sei i tipi di allevamenti individuati e classificati. Partendo da quello che meno offre in termini di benessere animale, ossia l’allevamento ‘intensivo’, per il quale, nel caso delle vacche da latte, neppure c’è una normativa specifica. Sul gradino di poco superiore, al quarto posto, c’è la ‘stabulazione fissa (legata)’, con le vacche legate e l’accesso al pascolo per almeno 120 giorni all’anno, la lettiera o il materassino con lettiera, il foraggio sempre disponibile e l’utilizzo degli antidolorifici per la cauterizzazione dell’abbozzo corneale nelle prime settimane di vita per evitare la crescita delle corna. Al terzo posto la ‘stabulazione libera’ che, però, non prevede accesso al pascolo. In aggiunta c’è l’utilizzo di spazzole e doccette. Poi c’è il primo tipo di allevamento che le associazioni ritengono accettabile, ossia il ‘pascolo 4 mesi’, con stabulazione libera e accesso al pascolo almeno 120 giorni all’anno, oltre a tutte le previsioni già obbligatorie per la stabulazione libera. Infine i due tipi di allevamenti più rispettosi del benessere animale. L’allevamento ‘al pascolo’, con stabulazione stabulazione libera, accesso al pascolo (che fornisce il 60% della dieta) sempre disponibile, così come il foraggio e, anche in questo caso, anche più spazio per gli animali in lattazione, lettiera o materassino con lettiera e utilizzo degli antidolorifici per la cauterizzazione dell’abbozzo corneale. Al primo posto, l’allevamento ‘biologico’, che rispetta la normativa europea di riferimento.
“La conoscenza dell’etogramma di una specie allevata, cioè dell’insieme dei comportamenti naturali manifestati dalla specie – spiega Dario Buffoli, medico veterinario esperto in etologia e benessere animale – è parte sostanziale nella messa a punto di indicatori e di sistemi di valutazione del benessere animale e, in questo, il metodo di allevamento è precondizione essenziale per poter valutare le oggettive possibilità di benessere degli animali allevati”.
I FONDI PAC E NEXT GENERATION EU – Un’etichettatura secondo il metodo di allevamento rappresenterebbe anche uno strumento per indirizzare i fondi del Next Generation EU e della prossima Politica Agricola Comune, a sostegno di quegli allevatori che già ora si impegnano ben al di sopra dei limiti di legge e per sostenere la transizione a sistemi più rispettosi del benessere animale. Anche perché, secondo CIWF e Legambiente, i fondi che potevano essere indirizzati a favore del benessere animale, nella scorsa Pac sono stati sottoutilizzati, così come sottolineato da Maria Carmela Macrì, ricercatrice Crea Politiche e Bioeconomia. Secondo Federica Di Leonardo di CIWF “le amministrazioni dovrebbero essere messe in grado di sviluppare una strategia che metta a sistema le opportunità offerte dalla PAC. Sarebbe inaccettabile – aggiunge – utilizzare ancora una volta i fondi della Politica agricola comunitaria per finanziare lo status quo”. E lo status quo è fatto, per la stragrande maggioranza, di sistemi di allevamento intensivi, la cui insostenibilità è stata ormai ampiamente acclarata. “Sempre più cittadini sono consapevoli che il sottocosto, ossia quello che non si paga ‘al bancone’, lo paghiamo comunque, anche maggiorato e con soldi delle tasse, in danni alla salute e all’ambiente” spiega Antonio Morabito, responsabile Benessere animale di Legambiente, secondo cui “i fondi in arrivo con il Next Generation EU dovranno sostenere le diverse fasi della filiera dei prodotti di origine animale puntando efficacemente alla crescita della sostenibilità e del benessere animale. Mettere i cittadini in condizione di operare scelte utili alla transizione ecologica – conclude – grazie all’etichettatura con metodo di allevamento, è urgente per tutelare l’autorevolezza del Made in Italy e per difendere la salute dei cittadini e dell’ambiente”.