Politica

Governo Draghi, per salire sul carro dei vincitori ognuno farà ‘whatever it takes’

di Armando Sassoli

Il professor Mario Draghi, europeista convinto e keynesiano di scuola e metodo, è diventato più famoso di quello che già era per il suo “whatever it takes”, sposando peraltro la stessa filosofia di Tim Geithner, ex Ministro del Tesoro di Obama, con il quale Draghi ha condiviso il machiavellismo – maleodorante ma necessario – che il sistema creditizio, cioè le banche, e per certi versi le grandi compagnie di assicurazione, vanno salvate ad ogni costo e poi preservate con ogni mezzo, così da garantire liquidità al flusso monetario, senza il quale il sistema economico mondiale implode e ci disintegra tutti.

E’ un po’ come dire che i soldi dati alle banche per sanare le loro malefatte sono necessari per consentire a noi poveri lavoratori mortali di poter continuare a comprare il latte. Duro da accettare, difficile da spiegare e capire, ma fa parte delle regole del gioco dell’unico modello economico che siamo riusciti a congegnare, con qualche tipo di continuità di funzionamento: il Capitalismo occidentale, con tutti i suoi disgustosi effetti sociali collaterali e con buona pace del buon Marx e dei suoi mai realizzati progetti di emancipazione del proletariato. Se non ci credete, provate a vincere una partita a Monopoli senza che la banca vi dia mai un soldo.

Quando pronunciò questa frase, seguita con pausa ad effetto da, cito a memoria, “and believe me, it’s going to be enough” (e credetemi…sarà abbastanza), speculatori anti-euro e ribassisti anti-tutto, che raccontando pure e semplici menzogne su temi come debito e inflazione fomentavano la disgregazione finanziaria e politica dell’Europa, lessero con terrore l’ovvio sottotitolo: “Avremo più moneta di voi e la useremo”. Fu così che i soldi scommessi sul fallimento delle grandi banche e sul crollo dell’euro, inclusi quelli di idioti che paragonavano Schengen ad Auschwitz e la Merkel alla sua Kapò, dovettero cambiare rotta per non venir evaporati.

Non che questi avvoltoi se ne andarono in silenzio. “Attentato alla democrazia del libero mercato”, “sovietizzazione dell’economia occidentale”, “Draghi dovrebbe essere arrestato”, “il pane tolto dalla tavola degli italiani per sfamare i mostri (le banche)”, sono solo alcune delle fioriture sbocciate da questa mala pianta, che si chiama speculazione finanziaria: la stessa che aveva peraltro indotto qualsiasi porcheria perpetrata dalle banche e dagli istituti finanziari, responsabili dell’allora crisi economica planetaria.

Bene. Oggi Mario Draghi, che per chi non l’avesse ancora capito, è stato ed è uno dei più convinti estimatori di Angela Merkel – e viceversa -, raccoglie dichiarazioni di consenso da tutte le parti, eccezion fatta per la Meloni e qualche altra isolata voce del dissenso come Di Battista, ai quali va almeno riconosciuto il primato della coerenza, anche se magari non proprio della lungimiranza.

Che dire invece degli altri? Dalle ciliegie (o sono fragole?) mature, ai tifosi di Ursula, ai no-euro che diventano d’un tratto no-veto, agli spendisti-specialisti del Recovery fund che dimenticano come è stato ottenuto e da chi, ai liberi e uguali non si capisce a che cosa, agli italoforzisti che si dimenticano le sprezzanti battute dell’Europa di Draghi su Berlusconi, c’è la corsa a perdifiato per salire sul carro o carroccio che sia.

Se questo poco edificante spettacolo non fosse diretta espressione di chi noi siamo, come cultura, come società e come modo di pensare e agire, ci sarebbe quasi da ridere nel veder entrare e uscire dalle stesse porte, come in una commedia degli errori, tutti questi comici personaggi. Io penso invece ci sia più da piangere. Chiediamocelo una buona volta: ma i patetici protagonisti e relativi portaborse di questo poco letterario teatrino sono poi tanto diversi da noi, che da quelle parti li abbiamo mandati?

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