Il Tribunale penale internazionale può esercitare la propria giurisdizione in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est e la Striscia di Gaza. Ma uno degli aspetti più controversi di questa vicenda è la memoria presentata da alcuni Paesi - tra cui anche Germania e Canada -, che respingono il riconoscimento della statualità della Palestina e la giurisdizione dei giudici dell’Aja sui territori occupati
“È una decisione importante, ma non possiamo cantare vittoria, ora attendiamo che la Procuratrice apra formalmente le indagini, ma siamo ben consapevoli che la strada per fare giustizia è ancora lunga”, dice al fatto.it Triestino Mariniello, docente di diritto internazionale presso la Liverpool John Moores University e membro della squadra di legali che rappresenta davanti alla Corte Penale Internazionale le vittime dei crimini che sarebbero stati commessi dagli israeliani a Gaza.
Lo scorso venerdì, la Corte dell’Aja ha dichiarato ufficialmente di riconoscere la Palestina come Stato e di avere giurisdizione sulla situazione nelle aree occupate da Israele, dando così la possibilità alla procuratrice Fatou Bensouda di avviare un’indagine sui crimini di guerra commessi in questi territori. Il 20 dicembre scorso, la procuratrice del Tribunale penale internazionale aveva annunciato che l’esame preliminare sulla “Situazione in Palestina” aveva stabilito che erano stati commessi crimini di guerra nei territori occupati e che “tutti i criteri legali (..) per l’apertura delle indagini erano stati soddisfatti“. Prima di procedere con un’indagine, però, la procuratrice si è rivolta ai giudici del Tribunale penale internazionale per avere conferma che il territorio sul quale il tribunale può esercitare la propria giurisdizione comprendesse la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est e la Striscia di Gaza. La risposta dei giudici della Corte è stata sì.
“Nel corso degli anni, la Palestina ha chiesto a più riprese alla Corte di avviare indagini su quanto accaduto nei territori occupati. La domanda rimasta a lungo senza risposta e che ostacolava ogni tentativo in questo senso, era sempre lo stessa: la Palestina può essere considerata Stato ai sensi dello Statuto della Corte?”, spiega Mariniello. La questione del riconoscimento della statualità della Palestina è sempre stata considerata affare politico, quindi non di competenza di una Corte internazionale. “Uno degli aspetti rilevanti di questa decisione riguarda proprio la scelta della Corte di non tenere conto delle considerazioni politiche di alcuni Stati – dice Mariniello – Nel gennaio 2015 la Palestina è entrata a fare parte della Corte ratificando lo Statuto di Roma e vincolandosi ad esso. A questo punto il riconoscimento della statualità della Palestina da parte della Corte era l’unica conclusione giuridicamente corretta alla luce dello Statuto di Roma”.
Con questa decisione, definita storica da molti, i giudici dell’Aja sembrano avere fatto il primo passo, ma la strada è lunga e tortuosa. Alcuni dei casi di violazioni gravi dei diritti umani che verranno esaminati, infatti, risalgono al 2014 e questo rende difficile il lavoro degli investigatori. “É stato perso troppo tempo – spiega Mariniello – e trovare oggi prove di crimini commessi sette anni fa potrebbe essere difficile, soprattutto se si considera che difficilmente Israele sarà collaborativo e questo renderà tutto più complicato.” Israele è stato più volte invitato dalla Corte a collaborare. Il rifiuto è stato netto. Va tenuto presente che la Corte penale internazionale interviene solo laddove gli stati non vogliono o non possono fare giustizia attraverso i proprio tribunali.
“È presumibile che Netanyahu cercherà di ostacolare il procedimento dinnanzi alla Corte, insistendo sulle esigue ed incerte procedure interne contro i responsabili delle gravi violazioni del diritto dei conflitti armati commesse durante le offensive israeliane a Gaza e sostenendo che l’intervento della Corte sarebbe di natura politica”, dice Luigi Daniele, professore di diritto internazionale umanitario alla Nottingham Trent University. “Tuttavia, le responsabilità da parte israeliana sono sistemiche e reiterate, tanto a Gaza, quanto in Cisgiordania. Lo stesso argomento dei procedimenti interni appare insostenibile, per esempio, alla luce degli insediamenti israeliani nella West Bank. Quelle dei settlement sono condotte internazionalmente illegittime sancite da politiche dello Stato; è quindi irragionevole pensare che iniziative interna alla giustizia israeliana esentino la Corte Penale Internazionale dai propri doveri istituzionali”, precisa Daniele, co-promotore nel 2014 di una dichiarazione in cui 300 docenti esperti di diritto internazionale promuovevano un procedimento contro i crimini internazionali commessi nel corso dell’Operazione “Margine Protettivo”.
Uno degli aspetti più controversi di questa vicenda, però, riguarda l’opposizione a questa decisione espressa da un gruppo di Stati alcuni dei quali “insospettabili”. Otto paesi parte dello Statuto di Roma, infatti, hanno presentato alla Corte una memoria in cui respingevano il riconoscimento della statualità della Palestina e la giurisdizione dei giudici dell’Aja sui territori occupati. Tra questi otto ci sono l’Ungheria, la Repubblica Ceca, l’Uganda, ma anche il Canada e la Germania. “In questo caso più che mai, alcuni Stati hanno mostrato un atteggiamento a dir poco schizofrenico – dice Mariniello – se si pensa che proprio quelli che si sono opposti a questa decisione, hanno in passato riconosciuto la Palestina come Stato in altri consessi internazionali”. Fonti sentite dal fatto hanno parlato di forte lavoro diplomatico da parte di Israele affinché questi Stati si opponessero alla richiesta della Procuratrice Bensouda. “Un primo passo storico è stato fatto, ma c’è ancora molto da fare – dice Mariniello- soprattutto perché, visti i tempi della giustizia penale internazionale, le indagini su ogni caso richiederanno diversi anni”.