Il 2020 si chiude con una diminuzione della produzione industriale rispetto all’anno precedente dell’11,4%, il secondo peggior risultato dall’inizio della serie storica (che parte dal 1990), dopo la caduta registrata nel 2009. La flessione, spiega l’Istat, è estesa a tutti i principali raggruppamenti di industrie e, nel caso dei beni di consumo, è la più ampia mai registrata: è l’effetto del lockdown primaverile che ha fermato le attività con la sola eccezione di quelle essenziali. Il “progressivo recupero dopo il crollo di marzo e aprile”, annota l’istituto di statistica, “ha subito una battuta d’arresto nei mesi recenti, impedendo il ritorno ai livelli produttivi precedenti l’emergenza sanitaria”.
Tuttavia a dicembre, nel pieno della seconda ondata ma con restrizioni limitate ai servizi, l’indice ha invece tenuto diminuendo dello 0,2% su novembre e del 2% annuo. Nella media del quarto trimestre 2020 la flessione è dello 0,8% rispetto al trimestre precedente. Nella media del quarto trimestre l’indice destagionalizzato è ancora inferiore del 3,1% rispetto a febbraio 2020. I settori di attività che a dicembre registrano i maggiori incrementi tendenziali sono la fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche (+10,9%), la fabbricazione di prodotti chimici (+7,5%) e di apparecchiature elettriche (+6,8%). Viceversa, le flessioni maggiori si registrano nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-28,5%), nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-16,5%) e nella fabbricazione di prodotti farmaceutici di base e preparati (-10,9%).
Dalla Nota mensile sull’andamento dell’economia italiana emerge che a dicembre il mercato del lavoro ha registrato diffusi segnali negativi con un calo congiunturale dell’occupazione (-0,4%, -101mila unità), un aumento del tasso di disoccupazione (+1,5 punti percentuali, +34mila unità) e di quello d’inattività (+0,3 punti percentuali, +42mila unità), interrompendo la fase di recupero dei mesi precedenti. Anche le ore pro capite effettivamente lavorate settimanalmente, riferite al totale degli occupati, sono diminuite: la variazione tendenziale è stata di -2,9 ore (era di -2,5 ore a novembre). Considerando la media del quarto trimestre rispetto allo stesso periodo del 2019, le forze di lavoro hanno segnato un calo di 596mila unità, con un contributo negativo sia degli occupati (-432mila unità) sia dei disoccupati (-164mila unità) che, in parte, si è tradotta in un aumento degli inattivi (+429mila unità). Questo andamento mostra una forte caratterizzazione di genere a sfavore delle donne, sia per l’occupazione (-239mila unità rispetto a -193mila unità per gli uomini) sia per la disoccupazione (-126mila unità rispetto a -38mila unità). Nel periodo considerato, la flessione dell’occupazione ha interessato in misura prevalente i contratti a termine (-275mila unità) e gli indipendenti (-105mila unità). In questo scenario, il miglioramento tendenziale del tasso di disoccupazione sembra ascrivibile a una ricomposizione a favore dell’inattività.