Nel caso dei beni di consumo la flessione è la più ampia mai registrata: è l'effetto del lockdown primaverile che ha fermato le attività con la sola eccezione di quelle essenziali. Dalla nota mensile sull'andamento dell'economia emerge che nel quarto trimestre, rispetto allo stesso periodo del 2019, le forze di lavoro hanno segnato un calo di 596mila unità
Il 2020 si chiude con una diminuzione della produzione industriale rispetto all’anno precedente dell’11,4%, il secondo peggior risultato dall’inizio della serie storica (che parte dal 1990), dopo la caduta registrata nel 2009. La flessione, spiega l’Istat, è estesa a tutti i principali raggruppamenti di industrie e, nel caso dei beni di consumo, è la più ampia mai registrata: è l’effetto del lockdown primaverile che ha fermato le attività con la sola eccezione di quelle essenziali. Il “progressivo recupero dopo il crollo di marzo e aprile”, annota l’istituto di statistica, “ha subito una battuta d’arresto nei mesi recenti, impedendo il ritorno ai livelli produttivi precedenti l’emergenza sanitaria”.
Tuttavia a dicembre, nel pieno della seconda ondata ma con restrizioni limitate ai servizi, l’indice ha invece tenuto diminuendo dello 0,2% su novembre e del 2% annuo. Nella media del quarto trimestre 2020 la flessione è dello 0,8% rispetto al trimestre precedente. Nella media del quarto trimestre l’indice destagionalizzato è ancora inferiore del 3,1% rispetto a febbraio 2020. I settori di attività che a dicembre registrano i maggiori incrementi tendenziali sono la fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche (+10,9%), la fabbricazione di prodotti chimici (+7,5%) e di apparecchiature elettriche (+6,8%). Viceversa, le flessioni maggiori si registrano nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-28,5%), nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-16,5%) e nella fabbricazione di prodotti farmaceutici di base e preparati (-10,9%).
Dalla Nota mensile sull’andamento dell’economia italiana emerge che a dicembre il mercato del lavoro ha registrato diffusi segnali negativi con un calo congiunturale dell’occupazione (-0,4%, -101mila unità), un aumento del tasso di disoccupazione (+1,5 punti percentuali, +34mila unità) e di quello d’inattività (+0,3 punti percentuali, +42mila unità), interrompendo la fase di recupero dei mesi precedenti. Anche le ore pro capite effettivamente lavorate settimanalmente, riferite al totale degli occupati, sono diminuite: la variazione tendenziale è stata di -2,9 ore (era di -2,5 ore a novembre). Considerando la media del quarto trimestre rispetto allo stesso periodo del 2019, le forze di lavoro hanno segnato un calo di 596mila unità, con un contributo negativo sia degli occupati (-432mila unità) sia dei disoccupati (-164mila unità) che, in parte, si è tradotta in un aumento degli inattivi (+429mila unità). Questo andamento mostra una forte caratterizzazione di genere a sfavore delle donne, sia per l’occupazione (-239mila unità rispetto a -193mila unità per gli uomini) sia per la disoccupazione (-126mila unità rispetto a -38mila unità). Nel periodo considerato, la flessione dell’occupazione ha interessato in misura prevalente i contratti a termine (-275mila unità) e gli indipendenti (-105mila unità). In questo scenario, il miglioramento tendenziale del tasso di disoccupazione sembra ascrivibile a una ricomposizione a favore dell’inattività.