“So’ tanti che vengono a fa ricerche sulle borgate, e io je dico sempre famo a cambio… si volete capì qualcosa delle borgate, ce venite a sta’ du’ anni e io me trasferisco a casa vostra”. Così dice un personaggio di Il contagio, il romanzo di Walter Siti che narra come sono mutate le borgate, a Roma, dal tempo di Pasolini.

Per la scuola vale per certi versi lo stesso discorso. Per capirne il funzionamento è necessario starci. Non sentirne parlare. Per provare a porre mano alle sue tante criticità bisogna averne una conoscenza diretta. Per proporre delle misure è indispensabile entrare in classe. Ma non da ospite occasionale.

“Gli studenti hanno perso troppe lezioni”, avrebbe detto, secondo La Repubblica, il Presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi. Che avrebbe sottolineato, durante gli incontri per la formazione del nuovo governo: “Le scuole italiane sono rimaste chiuse più che nel resto d’Europa”. La conseguenza? Lezioni in classe almeno fino al termine di giugno. Almeno. Le reazioni di insegnanti e sindacati, immediate. Incredule. In realtà quest’idea è da mesi nell’aria. Anche Lucia Azzolina l’aveva ventilata, per poi ripensarci.

Il problema nella sua complessità é duplice. Di forma e di sostanza. Già, perché se é diventato necessario “recuperare” vuol dire che la Dad alle superiori non ha funzionato e che le lezioni in presenza alle medie sono state quantomeno inefficaci. Insomma che generalmente la scuola, sia come istituzione che come rappresentanti, non è stata in grado di assolvere al suo ruolo. Non ha fornito risposte soddisfacenti. Pur dovendo considerare che le scelte differenti su aperture e chiusure degli istituti operate dai govrnatori delle Regioni hanno creato delle difformità. Che in ogni caso non possono autorizzare a sostenere che “gli studenti hanno perso troppe lezioni”. Perché così non é stato. Appunto, fatta eccezione per alcuni casi.

E’ indubitabile che la scuola in presenza, pre-Covid, fosse generalmente migliore di quella da remoto e comunque “più completa” di quella in presenza di questi mesi. Ma in ogni caso si é fatto il possibile. Lo hanno fatto le istituzioni scolastiche. Come d’altra parte ragazzi e famiglie. Quasi tutti si sono dati da fare. Con fatica. Già, perché un elemento da considerare è proprio il dispendio di energie speso in questo primo scorcio d’anno. Solo un quadrimestre per il calendario scolastico. Molto di più, nella percezione di ragazzi e insegnanti.

“Professore sa quante settimane ci sono alla fine dell’anno?”, mi ha chiesto con insistenza Vittoria, una ragazzina di seconda media in una scuola romana. Il conto non l’ho fatto, le confesso. Ma poco dopo in sala professori sento un collega che, rivolgendosi ad un collaboratore scolastico, dice: “Lo scorso fine settimana ho fatto il conto di quanti giorni mancano alla fine delle lezioni. Lo so che manca tanto, ma quest’anno sono davvero stanco”. Il problema é che sono in moltissimi ad essere già in affanno, proprio come Vittoria e il collega.

Il nuovo anno scolastico é partito senza che le tossine accumulate in quello precedente fossero state smaltite. Se non parzialmente. Le illusioni del ritorno alla normalità coltivate a settembre fatte svanire ben presto dalla nuova emergenza. Che ha portato mascherine e tamponi. Lezioni inesorabilmente frontali. Con ragazzi e insegnanti impossibilitati per ragioni di sicurezza a spostarsi delle proprie postazioni. Da remoto alle superiori, in presenza alle medie. Sono stati mesi faticosi. Snervanti. Mesi nei quali forse si è perso qualcosa dei programmi originari. Qualcosa che in ogni caso non sarà possibile recuperare. Neppure se le lezioni si protrarranno per l’intero mese di giugno. Perché il recupero dovrebbe concentrarsi sulla qualità di quel che è mancato piuttosto che sulla sua quantità. Insomma sulla profondità delle conoscenze piuttosto che sul suo numero. Su un consolidamento dei saperi piuttosto che su aggiunte posticce.

Ma per raggiungere questi obiettivi occorre tempo. Molto di più delle tre settimane prospettate. Serve l’intero anno scolastico. Alcuni spazi, sapientemente scelti, delle lezioni di un anno. In compenso si sottoporranno ragazzi e insegnanti ad un prolungamento che li fiaccherà ancora di più. Fisicamente e psicologicamente. Pregiudicando probabilmente anche il prossimo anno scolastico. Stupisce che chi propone questa estensione delle lezioni non abbia pensato ai risvolti psicologici che provocherebbe di certo sui ragazzi. Sottoposti ad uno stress aggiuntivo.

E’ un peccato che ad occuparsi della scuola siano quasi sempre persone che non la conoscono, se non attraverso i propri ricordi. Oppure informazioni spesso poco attendibili. Altrimenti perché mai opterebbero per misure vuote se non inutili?

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