Chiuso il tavolo formale con i partiti, si apre quello con enti locali, parti sociali e associazioni. Dopo aver incontrato per la seconda volta i leader di tutte le forze che siedono in Parlamento, Mario Draghi comincia l’ultimo round di colloqui in vista del suo ritorno al Quirinale. L’obiettivo è quello di raccogliere spunti e aggiungere ulteriori contenuti alla sua agenda, su cui sono iniziati a trapelare i primi dettagli in materia di scuola, fisco, vaccini e ambiente. Ma sul cantiere del nuovo governo nella tarda serata di ieri è piombato il vulcano Beppe Grillo, che con un video su Facebook ha posticipato il voto su Rousseau previsto per oggi e domani. “Mi aspettavo il banchiere di Dio, invece mi sono trovato davanti un grillino”, ha detto il garante M5s. “Per lui il reddito è una grande idea. Ha detto che abbiamo cambiato la politica con l’onestà”. Impressioni positive che però richiedono altro tempo prima di essere confermate. Con una postilla che rischia di complicare il quadro: la Lega non deve entrare in partita “perché non ha mai capito niente di ambiente“, ha scandito Grillo. “Draghi mi ha risposto: non lo so, vediamo“. Poche parole che certificano quanto lavoro ci sia ancora da fare prima di arrivare a una sintesi. Le grandi domande di questi giorni sono infatti ancora tutte sul tavolo: sarà un esecutivo tecnico o tecnico-politico? Con i leader o con i vice? Avrà il sostegno di tutto l’arco costituzionale, eccetto Fratelli d’Italia, o solo di una parte?
Doppia sorpresa a Montecitorio – In campo M5s Grillo detta la linea e prende tempo, anche a fronte delle divisioni che continuano a emergere in queste ore. La presenza di ieri del garante M5s a Montecitorio e poi in video punta proprio a ricompattare gli animi e mandare un segnale agli attivisti. Il faccia a faccia del fondatore del Movimento con Draghi è durato per oltre un’ora e al centro del confronto c’è stato ancora una volta il “super-ministero” pensato per coordinare tutti gli investimenti verdi, come ha confermato il capo politico reggente Vito Crimi. L’ex capo della Bce ha inoltre spiegato che sul Recovery plan si partirà “da quello che c’è già, elaborato grazie al lavoro del governo uscente e dei nostri ministri”, ha aggiunto Crimi, specificando che non è stato fatto nessun riferimento al Mes e sono state fornite rassicurazioni sul reddito di cittadinanza. L’altra sorpresa della giornata, che potrebbe essere determinante anche se con esiti opposti, è stata la comparsa di Silvio Berlusconi a Roma. L’ex premier, seppur affaticato, ha guidato la delegazione di Forza Italia dopo il forfait della settimana scorsa. “Grazie per essere venuto“, lo ha accolto Draghi, indicato come presidente della Bce proprio durante l’ultimo governo Berlusconi. Al termine dell’incontro l’ex Cav ha confermato il sostegno del suo partito “con la sollecitazione di fare scelte di grande profilo tenendo conto delle indicazioni dei partiti, ma decidendo in piena autonomia”. Una presenza ingombrante, la sua, che dà la spinta ad Alessandro Di Battista: “A me darebbe fastidio vedere ministri e sottosegretari seduti in un governo vicino a Forza Italia. Mi auguro che questa scelta non si farà: se si dovesse fare rifletterò su cosa fare io“.
La Lega certifica la svolta europeista, i dubbi del Pd – Alla contesa azzurri-pentastellati in realtà se ne affianca anche un’altra: far digerire al Pd e a Liberi e uguali (le cui due anime – Mdp e Sinistra italiana – sono sempre più divise al loro interno) l’appoggio della Lega al governo. Nicola Zingaretti ha rimandato la palla nel campo dell’ex governatore di Bankitalia: “Con Draghi non abbiamo parlato di rapporti con altri partiti e in particolare con la Lega, Pd e Lega sono e rimangono due forze alternative e penso che sia un approccio condiviso anche dalla Lega. Il punto è verificare quale perimetro programmatico e parlamentare il governo dovrà avere, è la valutazione che deve fare Draghi”. Salvini dal canto suo ha deposto l’ascia di guerra sul tema migranti – ora chiede che venga applicata la “legislazione Ue“ – e ha certificato quella svolta “europeista” che potrebbe portare almeno il Pd ad accettare la convivenza forzata. I suoi 28 europarlamentari, infatti, hanno votato Sì al regolamento sul Recovery plan a Bruxelles, nonostante in commissione si fossero schierati per l’astensione insieme agli altri sovranisti europei. Un’inversione a U con cui il leader del Carroccio punta ad accreditarsi agli occhi di Draghi e a strappare, perché no, un ruolo di peso a Palazzo Chigi. “Io ministro? Se mi si chiede di far parte di una squadra io, per carattere, la partita me la gioco“, dice in modo chiaro.
Draghi non scopre (per ora) le carte sulla squadra – Sui nomi il premier incaricato ancora non ha intenzione di mostrare le carte. E non lo farà nemmeno con le parti sociali, anche se è pronto a ricevere suggerimenti. L’ipotesi più accreditata resta quella di scegliere dei profili tecnici per i ministeri chiave, soprattutto quelli cruciali per il Recovery plan. Sui politici, invece, sono in campo due ipotesi: affidare ai vice dei leader alcune caselle di peso o assegnare solo incarichi di viceministri e sottosegretari. Le figurine che circolano sono sempre le stesse: Giancarlo Giorgetti per la Lega, Andrea Orlando per il Pd, la renziana Teresa Bellanova, i 5 stelle Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli. Così come Roberto Speranza, considerato ancora in partita per la Sanità. Ma tutto potrebbe rimescolarsi visto il riserbo del premier incaricato sul dossier. Quel che è certo è che la partita andrà chiusa al più tardi entro la settimana. Con la scadenza del decreto legge Covid alle porte (il provvedimento va rinnovato entro lunedì 15), è probabile che Draghi punti a far giurare la sua squadra già venerdì pomeriggio o al massimo sabato.
Fisco progressivo, ambiente, vaccini: il programma – Una road map che non può prescindere dal programma, che il premier incaricato ha intenzione di esplicitare solo durante il suo discorso alle Camere previsto a inizio settimana prossima. Ulteriori dettagli, però, sono attesi nelle prossime ore. Tra le 10.30 e le 13.30 Draghi ha in agenda gli incontri con sindaci e governatori, l’Abi, Confindustria e le principali sigle sindacali. Che reclamano risposte sul blocco dei licenziamenti in scadenza in primavera, sui contributi a fondo perduto per le imprese in difficoltà, sul piano vaccini. Nel pomeriggio sarà poi la volta di Unioncamere, Coldiretti, commercianti e artigiani, coop e in coda le tre associazioni ambientaliste più grandi del Paese (Wwf, Greenpeace e Legambiente). Scelte affatto casuali che lasciano intendere il tenore dei colloqui voluti da Draghi. Intanto i temi messi sul tavolo finora sembrano voler non scontentare nessuno per non rompere il precario equilibrio su cui si stanno iniziando a poggiare le fondamenta del nuovo esecutivo. In cima alle priorità ci sono la scuola, il fisco, il piano vaccini: Draghi ha detto no alla flat tax che piace a Salvini, ma ha assicurato che non ci sarà alcun aumento delle tasse e che serve una svolta nella campagna di somministrazione dei farmaci anti-Covid. Ha parlato di sistema “progressivo” delle aliquote e di lotta all’evasione fiscale, per andare incontro alle richieste dei dem e della sinistra. Ha ipotizzato di estendere l’anno scolastico a fine giugno incassando un plauso bipartisan, nonostante la stessa proposta avanzata dalla ministra Lucia Azzolina era stata subissata di critiche. Poi ha fornito garanzie ai pentastellati sul reddito di cittadinanza e sul peso delle politiche green nel Recovery plan. Tutti punti che verranno approfonditi ulteriormente con sindaci, governatori, imprese e artigiani, sindacati, associazioni ambientaliste. Il passo successivo, o quantomeno l’auspicio, è quello di tornare al Colle al più presto.