di Barbara Pettirossi
Prendendo spunto dall’intervista di oggi alla professoressa Lorenza Carlassare, vorrei ripercorrere alcuni fatti su cui campeggia la figura di Mario Draghi.
Durante i mesi scorsi da più parti è stato evocato, in alternativa a Giuseppe Conte, il nome di Draghi. Alcuni hanno fatto notare il suo silenzio e l’alone di mistero intorno a una sua possibile scesa in campo. Matteo Renzi, in particolare, si può dire soddisfatto per essere riuscito a mettere a soqquadro un paese già notevolmente provato, e soprattutto per aver ottenuto dal Capo dello Stato Mattarella il super tecnico esperto competente dal curriculum (non smetteremo mai di riconoscerlo!) inattaccabile.
In realtà, non solo Renzi, ma anche le altre forze politiche (tranne Fratelli d’Italia) hanno accolto l’appello del Presidente della Repubblica e, pur di partecipare a questo nuovo tavolo, sono disposti a ingoiare diversi rospi. Conte stesso, messosi da parte, sostiene l’idea che Draghi vada appoggiato per il bene del paese. Il Movimento 5 Stelle è spaccato tra la realpolitik-visionaria di Beppe Grillo e la difesa dei presupposti che hanno portato alla sua nascita.
Draghi ha ascoltato i partiti amabilmente e sembra essere riuscito nel miracolo di accontentare tutti. Oppure, non ha detto abbastanza da suscitare atteggiamenti di chiusura. Chi vivrà vedrà. Attenderà l’esito di Rousseau, ma nel frattempo non ha fatto nomi. Da questi fatti emerge come la stessa classe politica, da destra a sinistra (a parte Fratelli d’Italia anche in questa specifica occasione) si sia auto-definita incapace di trovare soluzioni politiche tra le diverse posizioni, e di governare.
Invocando il nome del dio-uomo-Draghi, accettandone l’avvento in Parlamento la classe politica ha rinunciato al compito affidato loro dagli elettori il giorno in cui andarono alle urne, e hanno posposto l’elezione democratica alle indubbie competenze decisionali di uno solo, che può permettersi di dire e non dire in virtù della sua investitura.
Il ricorso reiterato a governi tecnici “capaci” (tralasciando i risultati passati e senza ipotecare il futuro) induce a formulare due ipotesi: o la nostra classe politica per prima non si sente all’altezza del ruolo che dovrebbe svolgere; o è vero quello che dice la professoressa Carlassare: “In troppi erano preoccupati dal possibile consolidamento di un’alleanza 5Stelle-Pd per timore di uno scivolamento a sinistra del Paese”. Cioè, quando l’élite si sente minacciata sottrae alla politica la sua funzione più alta, quella di amministrare.
Ora, volendo essere realisti, certamente dobbiamo fare qualcosa di concreto (dentro o fuori il governo) perché i tempi non ci permettono troppa filosofia. Tuttavia, mentre ci turiamo il naso, guardiamo da un’altra parte per non incrociare lo sguardo dei pluripregiudicati che l’hanno fatta franca grazie alla prescrizione, mentre cerchiamo di salvare i risultati ottenuti, riflettiamo sul senso della democrazia parlamentare perché è da lì che si deve partire per capire in che che direzione andare.