Durante il Governo Letta, dal 28 aprile 2013 al 14 febbraio 2014, Andrea Orlando fu ministro dell’Ambiente e l’11 e 12 dicembre 2013 organizzò la conferenza “La Natura dell’Italia. Biodiversità e Aree protette: la green economy per il rilancio del Paese”, invitando tutto il governo, e anche il Capo dello Stato.

Nel discorso iniziale (cito a braccio) disse di essere un giurista e di non aver mai pensato molto alle questioni ambientali. Messo in quel dicastero, però, aveva capito che la biodiversità doveva occupare il centro di ogni nostra azione. Come richiesto dalla Convenzione Mondiale sulla Biodiversità del 1992.

La biodiversità, disse Orlando nel discorso introduttivo, non è un tema che interessa il ministro dell’Ambiente. Deve interessare tutti i ministri, e anche il Capo dello Stato. La biodiversità non è una decorazione della nostra vita, qualcosa di meramente estetico. Senza la biodiversità siamo morti, e quindi dobbiamo riformare il modo di relazionarci con essa e l’economia deve diventare sostenibile: la “green economy” del titolo della conferenza.

Orlando rimase dall’inizio alla fine della conferenza, mentre i vari ministri arrivarono, fecero il loro discorsetto e se ne andarono. L’allora ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, un banchiere, parlò di green economy riferendosi ai vantaggi economici che derivano dalla gestione turistica dei Parchi Naturali. E poi se ne andò, a parlare di cose “serie” da qualche altra parte. Orlando fu presente dall’inizio alla fine: voleva sentire la comunità scientifica e le associazioni ambientaliste (sono due cose molto diverse) e in quei due giorni parlarono tantissimi esponenti dell’ecologia e dell’ambientalismo. Ognuno con un suo messaggio molto speciale.

Un entomologo, per esempio, disse che la metà delle specie che compongono la biodiversità è costituita da insetti e quindi basta studiare gli insetti. Un altro salì sul palco e disse che non ci sono insetti in mare, e che il pianeta è per il 70% coperto dal mare. Sono i crostacei ad essere molto importanti. Un botanico parlò dell’importanza assoluta delle foreste. Un botanico marino parlò dell’importanza assoluta del fitoplancton. Un microbiologo disse che senza i batteri gli ecosistemi non funzionano, e neppure il nostro intestino. Non parliamo degli appelli degli ambientalisti che volevano salvare le specie carismatiche, tutte sull’orlo dell’estinzione. E poi i direttori dei parchi, a parlare dei loro specificissimi problemi.

Parlarono in cento e fornirono cento messaggi differenti. A chi dare retta? Intendiamoci, avevano ragione tutti a decantare l’importanza dei singoli argomenti, ma avevano torto tutti a lasciar intendere che solo il loro argomento fosse importante.

Non avevo interventi programmati ma nella discussione dissi che, nella nostra Costituzione, l’articolo 9 tutela il paesaggio e il patrimonio culturale. Non c’è il patrimonio naturale, e il paesaggio è una concezione estetica: la natura modificata mirabilmente dalla mano dell’uomo. Ma è altro rispetto alla natura. Dovremmo mettere la natura nella nostra Costituzione, come valore fondante.

Da giurista, Orlando rimase colpito e mi invitò al ministero, per parlare. Ci vediamo dopo le vacanze di Natale, mi disse. Mi diede appuntamento nella prima metà di febbraio. Alla data convenuta andai al Ministero, ma quel giorno Renzi aveva fatto cadere Letta, e Orlando, ovviamente, non era in sede: me ne tornai a casa con le pive nel sacco. Orlando fu ministro anche nel governo Renzi, ma alla giustizia. I suoi successori non ripresero quel tentativo di mostrare la trasversalità dell’ambiente, e la green economy fu accantonata.

Ora, con il New Green Deal, quella intuizione di Orlando diventa cogente. Ora abbiamo il Recovery fund, le cui linee guida contengono la parola “biodiversità” più di cento volte (credo di averlo scritto già qualche volta in questa sede), e pare che persino qualche economista abbia capito cosa significa “green economy”.

Saranno in grado la comunità scientifica e le associazioni ambientaliste di presentare un piano complessivo che superi le specificità di ogni “portatore di interessi”, il cui primo interesse pare essere di distinguersi dagli altri? Ai tempi di Orlando l’operazione fallì, e tutti presentarono il loro piano, senza una visione complessiva. A chi dare retta? I tempi non erano maturi.

Per l’Unione Europea i tempi sono maturati, almeno nelle intenzioni dichiarate. Ora rimane da vedere se l’Italia, il maggior beneficiario dei fondi per le prossime generazioni, sarà in grado di fare un piano adeguato. Ma per farlo è necessario un cambio di valori, magari anche nella Costituzione. Nelle varie versioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza la natura era praticamente assente, se non come fornitrice di beni. Anche questo l’ho già scritto. Ora pare che il Movimento 5 Stelle sia tornato sui suoi passi, sulla vecchia strada della sostenibilità, abbandonata per atteggiamenti populisti.

Finisco facendo l’esegeta di Beppe Grillo: uno vale uno non è uno vale l’altro. È la traduzione di one man one vote: la base della democrazia. Consultare la base su una piattaforma elettronica, poi, sarà anche una pagliacciata, ma sempre meglio di congressi con tessere comprate, o con un capo che decide alla Leopolda o a Arcore.

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