Un voto decisivo. Non solo per il governo del presidente o la coalizione di centrosinistra, ma prima di tutto per la storia del Movimento 5 stelle. Nel caos di queste ore, un dato è incontestabile: mai un voto sulla piattaforma Rousseau era stato così cruciale e importante per la creatura di Beppe Grillo. Che il sistema di democrazia diretta piaccia o meno, che se ne vedano ancora le debolezze e i difetti, difficile smentire il fatto che oggi la prima forza politica in Parlamento ha deciso di sottoporre all’assemblea dei suoi iscritti una scelta che determinerà quello che sono e quello che vogliono diventare. Ci sono stati altri due scogli simili nel percorso del Movimento al governo: l’alleanza con la Lega prima e quella con il Pd poi. In entrambi i casi, i Sì della base sono arrivati dopo vari travagli interni, ma oggi l’asticella viene alzata ancora di più. In ballo infatti, non c’è solo l’ipotesi di sostenere un governo-tecnico. C’è la decisione di accettare se sedere al tavolo con il pregiudicato Silvio Berlusconi, lo “psiconano”, il nemico giurato e simbolo di tutte la battaglie per le quali è nato il Movimento. E quello a cui Luigi Di Maio si vantò di non aver neanche risposto al telefono. Ma, al tempo stesso, ogni elettore 5 stelle sa che dal voto dipenderà la possibilità (forse l’ultima per un bel po’ di tempo) di sedere all’esecutivo, realizzare il piano green dei sogni proposto da Beppe Grillo e difendere i provvedimenti portati avanti fino a questo momento. Un vero e proprio bivio. Da una parte si accetta un compromesso, l’ennesimo, mai come ora enorme. Ma puntando a entrare nel cosiddetto governo dei migliori (o delle élite) e piazzare sul tavolo il proprio programma. Dall’altra si sceglie di tornare all’opposizione, dove sono nati e cresciuti, sconfessando il fondatore e tutti i leader (compreso Giuseppe Conte).

Perché la mossa di Beppe Grillo ha segnato la svolta – Partiamo da un fatto: il ritorno di Beppe Grillo sulla scena ha completamente stravolto gli umori interni e le analisi iniziali. Se prima del suo arrivo sembrava inaccettabile che il Movimento 5 stelle partecipasse a un governo tecnico guidato dall’ex presidente della Bce e con “tutti dentro”, le trattative del garante hanno completamente ribaltato i piani. Il garante del Movimento, quello che per mesi era stato descritto come annoiato dalla politica e addirittura dal suo stesso Movimento, ha fatto l’unica mossa possibile: ha messo sul tavolo una proposta ambientalista, la più centrale di tutte in ottica di quantità di fondi in arrivo grazie al piano Next generation, e ci ha messo sopra la firma del M5s. E quando la presidente Wwf Donatella Bianchi, dopo il colloquio con Draghi, ha annunciato che “sì il ministero green” proposto da Beppe Grillo ci sarà, in quel momento il garante ha ottenuto una prima vittoria: la narrazione delle trattative è passata dal “M5s al tavolo con il nemico”, al M5s “partito che ha ottenuto una garanzia pubblica sulla sua proposta”. E di fatto, si sono oscurati automaticamente tutti i “ci siamo senza veti” degli altri partiti che, dicendo Sì a tutto, non si sa bene a che tipo di pacchetto hanno accettato. Beppe Grillo inoltre ha portato la discussione sull’unico piano capace di mettere in crisi ogni membro dell’assemblea M5s: l’ambiente. Chi ha aderito al Movimento 5 stelle lo ha fatto nel 99,9 per cento dei casi (questo tendiamo a dimenticarlo) perché riconosce in Beppe Grillo una capacità di “visione” e di “leadership” unica. Questa convinzione è ancora molto forte e se è stata scalfita, lo è stato molto spesso in quegli eletti che contestavano la sua scarsa presenza. Lo spirito ambientalista inoltre è il vero spirito delle origini, quello da cui è partita la prima scintilla dello tsunami M5s. I 5 stelle erano verdi, quando essere verdi in Italia non era di moda e la domanda è come mai, in un periodo in cui queste tematiche son al centro delle agende europee, non abbiano sfruttato prima questa carta. Per capirci: c’era un Movimento morente, ingrigito dalle istituzioni, incastrato nelle dinamiche partitiche e soffocato tra le minacce di Renzi e la tenaglia del Pd. Grillo è arrivato e ha piazzato la sua solita bomba al centro della stanza ricordando perché sono nati e perché dovrebbero andare avanti.

I due scenari: se vince il Sì e se vince il No – Detto tutto questo, è chiaro che la scelta è molto travagliata. Si sta chiedendo ai 5 stelle di essere ambientalisti, sognare in grande, ma anche di farlo andando al governo con Forza Italia. Ovvero Silvio Berlusconi. E se il Movimento è nato sulle basi “verdi” è anche nato sull’antiberlusconismo e sulla lotta contro tutto quello che l’ex Cavaliere ha rappresentato (e tutt’ora rappresenta). Per questo dire Sì vuol dire accettare un compromesso senza precedenti. E, sostengono in molti (in primis Alessandro Di Battista), sedere al tavolo con il nemico significherà la fine del Movimento, nonché la manomissione di tutto il progetto. Il fondatore sa che il rischio c’è e la vigilanza dovrà essere più alta del previsto. Ma, ha spiegato ai suoi in questi giorni, dire Sì permetterà al M5s di stare al tavolo alzano sempre di più la posta. Dietro quest’operazione c’è una delle utopie di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio in persona: arrivare a una fase in cui, avendo cambiato radicalmente la politica, non sarà più necessario il Movimento 5 stelle. Questo principio conta più di qualsiasi altra cosa ed è questo il tassello fondamentale per capire il M5s. Se vince il Sì, il garante metterà la faccia sull’accordo e inizierà un percorso molto complesso, di difesa dei pilastri M5s e di attenzione perché gli avversari non mettano in discussione i pilastri. Se vince il No, passaggio che fino all’ultimo non può essere escluso, sarà il vero anno zero del M5s. Significherà che la linea sostenuta dal fondatore e garante del Movimento è stata sconfessata. E con lui tutti i principali esponenti eletti: Luigi Di Maio, Vito Crimi, Roberto Fico, gli ex ministri. E, non da ultimo, Giuseppe Conte. Potrebbe essere che i parlamentari M5s decidano di non seguire la scelta della base? Difficile, ma non è quello il cuore del problema. Il No sancirebbe la spaccatura totale tra i sostenitori e i leader e la struttura del Movimento andrebbe ridisegnata completamente. Ecco perché il voto è decisivo e lo è prima di tutto per il futuro del Movimento. In entrambi i casi, il M5s si prepara a perdere dei pezzi (anche importanti) per strada. E qualsiasi sia l’esito, ne uscirà diverso da come ne era entrato.

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