Ad accorgersene subito è stato Paolo Spada, medico dell’ospedale Humanitas di Milano. Nei grafici che elabora periodicamente sul profilo Facebook “Pillole di Ottimismo” appare subito evidente una sospetta oscillazione. Susanna Esposito, professore ordinario di Pediatria all'Università di Parma, esclude però le scuole come luogo di “superdiffusione” del virus
Nella sfortuna di dover lottare contro una pandemia, abbiamo avuto la gran fortuna che il virus che ne è responsabile abbia risparmiato la stragrande maggioranza di bambini e ragazzi. Almeno finora. Oggi i numeri sono molto bassi, ma nelle ultime settimane la curva dei nuovi contagi nelle fasce d’età 0-9 anni e 10-19 sta puntando verso l’alto. Ad accorgersene subito è stato Paolo Spada, medico dell’ospedale Humanitas di Milano. Nei grafici che elabora periodicamente sul profilo Facebook “Pillole di Ottimismo” appare subito evidente una sospetta oscillazione. “Nella fascia d’età che va dai 0 ai 9 anni il numero dei nuovi contagi è quasi raddoppiato da dicembre a pochi giorni fa”, dice Spada. “Si è passati dal 4,48% dello scorso 9 dicembre al 5% del 20 gennaio fino al 7,22% del 6 febbraio”, specifica. Seppur più lieve, si è registrato un aumento anche nella fascia d’età che va dai 10 ai 19 anni. “Si è passati dal 8,19% del 9 dicembre al 9,28% del 20 gennaio fino al 10,4% del 6 febbraio” specifica il medico di Humanitas.
Si tratta di percentuali poco significative, ma che possono destare preoccupazione, soprattutto in considerazione a quanto sta accadendo in Israele e nel Regno Unito. In particolare, in Israele il ministero della Sanità ha segnalato un aumento delle infezioni tra i bambini e gli adolescenti: nello scorso gennaio i casi in quelle due fasce di popolazione sono stati più di 50mila, superiori a quelli registrati in ciascun mese della prima e seconda ondata di coronavirus. Tra le ipotesi c’è quella secondo la quale la variante inglese stia colpendo maggiormente bambini e adolescenti.
Nel Regno Unito, invece, quasi cento bambini alla settimana sono stati ricoverati a causa di una malattia rara che può insorgere molto tempo dopo aver contratto il Covid-19 e richiedere il ricovero in terapia intensiva. La patologia in questione si chiama PIMS, acronimo che sta per sindrome infiammatoria multisistemica pediatrica. Poco più di una settimana fa anche Andrea Campana, primario del reparto di pediatria multispecialistica del Bambino Gesù, sede di Palidoro oggi centro Covid ha segnalato un aumento di casi di coronavirus tra i bambini ma “per i più piccoli il Covid resta una patologia non grave”, assicura. Il medico ha segnalato anche un lieve aumento dei casi di sindrome multi-infiammatoria sistemica. “Ne abbiamo avuti 4 a marzo e 7 dal primo settembre al 31 dicembre scorsi”, aggiunge.
Se quello che sta succedendo nel nostro paese è un nuovo trend è impossibile dirlo ora. “Andiamoci piano”, invita Spada. “È evidente che si registra un aumento dei nuovi contagi, ma non è affatto detto che dipenda dal virus o da un cambiamento nell’andamento generale della pandemia. È più probabile – continua – che la percentuale dei nuovi contagi tra i bambini e i giovani sia associata a un’espansione del testing. In pratica, si fanno più test e probabilmente si individuano più casi rispetto a prima”. Non ci sarebbe quindi motivo di allarmarsi. Concorda con questa interpretazione anche Susanna Esposito, professore ordinario di Pediatria all’Università di Parma, direttore della Clinica pediatrica all’Ospedale Pietro Barilla e presidente dell’Associazione mondiale per le malattie infettive e i disordini immunologici (WAidid). “Le variazioni osservate sono minime”, sottolinea. Esposito esclude le scuole come luogo di “superdiffusione” del virus. “Uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Science ha dimostrato che la trasmissione di Sars Cov 2 è sostenuta principalmente dai gruppi di età 20-49 e che la riapertura della scuola non ha comportato un aumento sostanziale delle morti attribuibili al Covid-19”, evidenzia. “Questi risultati indicano che gli adulti di età compresa tra 20-34 e 35-49 anni continuano a essere gli unici gruppi di età che contribuiscono in modo sproporzionato alla diffusione di Covid-19 rispetto alla loro dimensione nella popolazione e che l’impatto della riapertura scolastica sulla Covid-19 risorgente viene mitigato in modo più efficace rafforzando il controllo della malattia negli adulti di età compresa tra 20 e 49 anni”, aggiunge Esposito.
Tuttavia, questo non significa che bisogna far finta di nulla. “È necessario tenere d’occhio la situazione”, suggerisce Spada. “I dati indicano la necessità di fare molta attenzione nel contact tracing”, gli fa eco Esposito. “I ragazzi dei licei – continua la studiosa – si sono ammalati soprattutto nelle attività extra-scolastiche. Al riguardo si può aumentare la disponibilità dei mezzi di trasporto, non solo mettendo a disposizione tutte le vetture efficienti del trasporto pubblico, ma anche attivando convenzioni con i trasporti privati in modo da allargare significativamente l’offerta. Infine, una buona, sistematica e ripetuta informazione agli studenti li può rendere maggiormente consapevoli dell’importanza di comportamenti attenti nell’interesse proprio e degli altri”.