di Matteo Columpsi
Dov’è finita la spina dorsale dei partiti? Sparita. Con l’adesione alla “grande ammucchiata” di questi giorni, grandi e piccoli partiti hanno sacrificato la loro credibilità politica e gli ideali che hanno sbandierato da anni, pur di tenere le mani in pasta nel ricco piatto del Recovery Fund che Giuseppe Conte è riuscito faticosamente ad ottenere dall’Europa.
Il M5S e il Pd ma anche LeU pagheranno in termini politici per l’errore di essersi seduti, dopo le dimissioni di Conte, di nuovo al tavolo con Matteo Renzi. Una presa di posizione netta e unitaria su “nuovo governo Conte o nuove elezioni” era l’unico modo per stanare i senatori renziani e portarli ad abbandonare il loro leader per farli confluire nel gruppo dei “responsabili”. Se questo scenario si fosse verificato il governo ne sarebbe uscito rinforzato e avrebbe potuto riprendere da subito l’azione di governo.
Se non si fosse verificato, invece, alle elezioni anticipate di giugno il partito di Renzi sarebbe sparito per l’irresponsabilità dimostrata aprendo una crisi di governo in piena pandemia, mentre sia il Pd, ma anche il M5S, avrebbero beneficiato dei buoni risultati del governo Conte.
Lo stesso Conte avrebbe potuto presentare una propria lista che avrebbe attratto il voto moderato sia di sinistra e, secondo me, sia di molta parte della destra moderata e ciò avrebbe consentito una nuova maggioranza formata da M5S, Pd, LeU e dalla ipotetica lista di Conte.
Adesso tutti i partiti, tranne l’estrema destra, si sono appiattiti su un governo minestrone da cui usciranno con le ossa rotte. L’unico che potrà beneficiarne è Renzi che ha già incassato da Mattarella il credito per averlo fatto eleggere sette anni fa (infatti penso che la gestione della crisi di governo del Presidente sia stata dettata proprio dal senatore di Rignano) e che metterà all’incasso anche il credito che vanta verso Draghi per aver fatto in modo che quest’ultimo si sia accasato a Palazzo Chigi.