Spendere subito e bene le risorse del Recovery Plan. Lo pretende l’Ue ed è il primo punto nell’agenda del premier incaricato Mario Draghi. Come riuscirci evitando sprechi e infiltrazioni malavitose? Quasi un anno fa il procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho lanciò l’allarme: “I clan sfrutteranno l’emergenza per mangiarsi l’economia”. Oggi, mentre Matteo Salvini gioisce perché “Draghi ha citato il modello Genova, con burocrazia zero”, molti chiedono che venga applicato a tutte le opere pubbliche. Dunque commissari straordinari, niente gare e deroghe al codice degli appalti. Ma per gestire con efficacia le risorse possiamo davvero replicare quanto fatto per il nuovo ponte Morandi e per l‘Expo 2015? Il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Francesco Merloni lo ha escluso perché “le deroghe indiscriminate favoriscono la corruzione”. Ilfattoquotidiano.it ne ha parlato con l’avvocato amministrativista e consigliere della Commissione Ecomafie Leonardo Salvemini, il commercialista esperto di antiriciclaggio Gian Gaetano Bellavia, già consulente della Procura di Milano per le inchieste finanziarie e l’economista ed ex presidente Consip Gustavo Piga. Hanno proposte diverse, con un filo conduttore. Perché lo sblocco di settori in difficoltà come sanità ed edilizia, ma anche il successo di eventuali repliche dei modelli Genova ed Expo, è legato al futuro di quella Pubblica amministrazione considerata zavorra e freno allo sviluppo, culla di sprechi e corruzione.
COSA MUTUARE DA GENOVA E EXPO – “La gestione del Recovery prevede un ambito di intervento molto maggiore rispetto alla ricostruzione del Ponte Morandi e alla preparazione di Expo 2015 – spiega l’avvocato Salvemini – ma potremmo mutuarne alcuni strumenti”. Con Expo è stata sperimentata la ‘vigilanza collaborativa’ tra il commissario e l’Anac, che riceveva le bozze degli atti e forniva suggerimenti alla stazione appaltante in un confronto continuo e diretto con i tecnici. Una prassi non sempre replicabile, ma che ha permesso di vigilare e aprire diverse inchieste senza bloccare tutto. “Altri strumenti di Expo – aggiunge l’avvocato – sono stati la commissione contabile ad hoc formata, tra gli altri, da un magistrato e un revisore contabile e un membro della Ragioneria di Stato, oltre al Controllo del Consiglio superiore dei lavori pubblici”. Il modello Genova, invece, è basato sulla sospensione del Codice dei contratti pubblici (Codice degli Appalti) e sull’applicazione dell’articolo 32 del Codice degli appalti europei che, in casi di particolare urgenza, consente di evitare le gare e lavorare direttamente con le imprese, sulla base delle manifestazioni d’interesse. Anche in questo caso ha avuto un ruolo la ‘vigilanza collaborativa’ e valgono le parole della Direzione investigativa antimafia, che ha intercettato più tentativi di infiltrazioni e in una relazione del 2019 suggeriva di replicare quanto sperimentato a Genova “dove si è raggiunta una perfetta sintesi tra efficacia delle procedure di monitoraggio antimafia e celerità nell’esecuzione dei lavori”. Certo, le cifre in ballo erano molto più piccole rispetto ai 196 miliardi del Recovery che arrivano a 222 contando anche i fondi europei “satellite” della Recovery and resilience facility e quelli strutturali.
GLI STRUMENTI ANTIRICICLAGGIO – Gian Gaetano Bellavia, esperto di antiriciclaggio, vede diversi rischi proprio nelle “tecniche di gestione straordinaria”. “Bisogna capire chi disporrà di questi soldi e con quali strumenti – spiega – perché se le modalità sono quelle tipiche dell’emergenza, con risorse in mano a strutture corruttibili, si continueranno a chiamare gli amici degli amici. Non si può dare capacità di spesa illimitata senza bandi precisi e regole serie, come quelle degli appalti pubblici”. Il resto lo deve fare una Pa più efficiente. “Poi ci sono strumenti che richiedono sforzi meno imponenti – aggiunge – ma porterebbero a rivoluzioni, come il Registro dei titolari effettivi che obbligherebbe società, persone giuridiche e trust a comunicare i dati sulla propria titolarità con un’incredibile operazione di trasparenza”. Ma, a tre anni dal recepimento della direttiva antiriciclaggio, manca ancora il decreto attuativo. Altra rivoluzione: l’abolizione della prescrizione con cui “salterebbero i calcoli di impunità”. Anche quelli di chi è già pronto a prendere la bustarella. “Emergono dinamiche interessanti – aggiunge – dalle ultime inchieste sulla ‘Ndrangheta in Lombardia, con politici in cerca di guadagno facile che contattano i corruttori inventando stratagemmi per intascare la propria parte. Ricordiamoci che le enormi risorse del Recovery a un certo punto dovranno essere gestite sui territori, da Comuni, Regioni, ospedali”.
ACCELERARE O SEMPLIFICARE – La necessità di accelerare le procedure di appalto ed esecuzione delle opere spinge molti a chiedere di modificare, se non sospendere, il Codice dei contratti pubblici, che pure già prevede deroghe in casi particolari. Ma non tutti sono d’accordo, perché si potrebbe offrire terreno fertile a infiltrazioni e corruzione. Per Regioni, Confindustria e associazioni di categoria come l’Associazione nazionale costruttori edili, nonostante le modifiche del 2016, quel testo ancora rallenta gli investimenti, perché troppo complesso. “Non c’è una normativa alternativa valida – replica l’avvocato Salvemini – e, data la situazione di emergenza, a una revisione prediligerei la scrittura di norme ad hoc per gestire le somme”. Molti chiedono di semplificarlo, eliminando step procedimentali. “Occorre sì operare con tempi e modalità accelerati – spiega il consigliere della Commissione Ecomafie – ma non cancellerei fasi cruciali, quasi tutte figlie della giurisprudenza e del contributo dell’Anac, perché questo aprirebbe il varco ad associazioni malavitose nazionali e, soprattutto, internazionali”.
IL RISCHIO DI INFILTRAZIONI – Ma in Italia ci sono molte gare, per esempio per i servizi di igiene urbana, dove non c’è neppure concorrenza. In quei casi non conviene affidare direttamente le somme per accorciare i tempi? “Non si risolve così la complessità della materia – replica Salvemini – trasformando l’aggiudicazione diretta, formula certamente più veloce, nella normalità. È contro le regole di mercato, concorrenza, trasparenza e legalità, perché nella trattativa privata è più facile che emergano criticità”. E questo è un momento delicato, con le associazioni malavitose che hanno gli occhi sulle grandi opere e sui finanziamenti che potrebberoarrivare a imprese in cui si sono infiltrate durante l’emergenza Covid-19 e che utilizzano per riciclare denaro sporco. “Chiederanno finanziamenti. Vanno monitorati, per esempio, gli investimenti sostenibili ed è impossibile farlo – sottolinea l’esperto – senza i paletti fissati dal Codice, che lo rendono complesso ma indispensabile”. Con o senza questo strumento, occorre accelerare. “E allora dobbiamo puntare sulla digitalizzazione – spiega Salvemini – per ridurre burocrazia e tempo di attesa tra un passaggio e l’altro” e, al contempo “immagino un protocollo d’intesa attraverso cui la Pa sia supportata da autorità giudiziaria e forze dell’ordine nella gestione dei fondi” che è un po’ il principio alla base della ‘vigilanza collaborativa’.
QUANTO E DOVE SPENDERE – Per l’economista Piga, il piano presentato da Conte “dovrebbe essere potenziato sotto tre aspetti: quali e quante risorse, dove investirle e in che modo”. Ad oggi, su 196 miliardi di euro, 74 sarebbero presi a prestito dall’Europa per finanziare investimenti approvati precedentemente “ma credo che la presenza di Mario Draghi e gli spread crollati offrano la possibilità di un debito maggiore, se speso bene”. Quel debito buono di cui parla l’ex capo della Bce. “Sarebbe uno spreco mostruoso impiegare quei 74 miliardi in investimenti già previsti”. Secondo punto: dove spendere? “Il settore più penalizzato dalla crisi che ha colpito l’Italia dal 2011 è l’edilizia, soprattutto al Sud” commenta Piga. “Bisogna far ripartire cantieri per scuole, carceri, gli interventi per il dissesto idrogeologico e di adeguamento alle norme antisismiche degli edifici ma parliamo di edilizia ecosostenibile e innovativa, non di cementificare il Paese. Ne beneficerebbe la fascia di popolazione che non può contare su cuscinetti in periodo di crisi”.
LA RIVOLUZIONE PA – E siamo al terzo punto: la nostra macchina organizzativa può gestire tutti questi appalti? Parte dei fondi del Recovery vanno usati per ottenere una Pa capace, efficace e rapida, ma si parte da una marea di gare da fare e oltre 20mila stazioni appaltanti depauperate. “Paghiamo pochissimo chi le gestisce, molti esperti non sono stati più sostituiti e c’è chi non sa neppure cos’è il cemento verde”, spiega Piga, che non ha dubbi: “Con i soldi del Recovery vanno inseriti nella Pa giovani e bravi economisti, ingegneri, architetti, perché le gare siano rapide, trasparenti, senza errori nel capitolato e ricorsi. E poi ci vogliono ispettori esterni e preparati che controllino l’operato delle stazioni appaltanti. Insufficienti i 720 milioni previsti da Conte”. È un’operazione possibile con l’attuale numero di stazioni? “Vanno ridotte, ma non con il modello di un’unica stazione, perché gare enormi verrebbero vinte da grandi imprese, togliendo l’occasione a quelle piccole di rimettersi in sesto e creando un maggior rischio di corruzione. Sarebbe un errore grave far gestire il Recovery Plan a un solo commissario”. Che modello suggerisce? “Non si fa dalla sera alla mattina, ma Draghi potrebbe creare, per la gestione delle risorse, un centinaio di stazioni appaltanti provinciali, centri di eccellenza che pian piano sostituirebbero quelle attuali”. La competenza come antidoto alla corruzione: “Saranno meno tentati dalla bustarella e più attaccati al lavoro”.