Italia Nostra sottolinea che la strategia della transizione annunciata dal Governo non può essere una lista di provvedimenti di quello che non si è potuto realizzare negli scorsi decenni, opere che possono produrre effetti potenzialmente deleteri sugli ecosistemi e sui paesaggi italiani.

A nostro giudizio i progetti previsti, se realizzati senza tener conto di una strategia comune di riferimento, oltre che a produrre effetti negativi sulla funzionalità delle reti degli ecosistemi e sui valori dei paesaggi culturali urbani, possono arricchire quelle “cattedrali nel deserto”, denominazione che molte delle nostre “grandi opere” hanno assunto nel passato recente, che ancora fanno bella mostra di loro stesse sul territorio.

Ecco i punti principali su cui Italia Nostra ritiene si debba intervenire.

Definizione della visione progettuale

Si devono considerare prioritari nell’impiego del Recovery Fund quei progetti che rispettino una visione d’insieme coerente a quella Europa verde, digitale e resiliente, atta a dimostrare le ricadute positive che queste scelte avranno nei decenni futuri:

– un piano nazionale di “restauro ecologico degli ambienti naturali”, nuova strategia per la difesa della biodiversità del prossimo decennio;

– un piano nazionale per la manutenzione del territorio, il suo riassetto idrogeologico e la sua messa in sicurezza;

– un piano straordinario per la tutela dei beni culturali materiali e immateriali, identificati come risorsa principale del Paese e come fonte importante di sviluppo economico diffuso su tutto il territorio;

– un piano nazionale di tutela del paesaggio, che confermi il primato dello Stato – attraverso il MiBACT- nella definizione delle norme paesaggistiche delle regioni che ancora risultano carenti di Piani paesaggistici adeguati alle prescrizioni del Codice BB.CC., anche intervenendo in via sostitutiva;

– potenziare la politica sui parchi;

contrastare il consumo di suolo, per far fronte alla crisi climatica, per migliorare la stessa capacità di resilienza delle città, senza trascurare il miglioramento delle “reti ecologiche” e dei servizi ecosistemici, il rafforzamento della biodiversità, il potenziamento della forestazione urbana e forestale;

abbattimento delle emissioni di gas serra attraverso sistemi di resilienza nel riequilibrio degli ecosistemi, il miglioramento delle reti ecologiche e la forestazione urbana;

rafforzamento e messa a sistema degli strumenti digitali a servizio e preposti alla tutela dei beni culturali come la “Mappa del Recupero” anche in rapporto con la preesistente “Carta del Rischio”, e il progetto “Vincoli in rete”, applicazione informatica di consultazione e gestione degli atti di tutela dei beni culturali. Banche dati facilmente consultabili e che dialoghino tra loro è uno dei presupposti più importanti per la gestione razionale ed efficace delle risorse a disposizione per la tutela;

– la reale valorizzazione del sistema museale italiano e dei suoi depositi come fonte inesauribile per la ricerca e formazione del mondo accademico e della società civile.

Azione governativa e impatto su paesaggio, ambiente e cultura

Parallelamente alle azioni derivanti dall’impiego del Recovery Fund nel quadro delle linee su indicate sia in relazione all’ambiente che alla cultura, si auspica che il Governo, in linea con le azioni già condotte in altri Paesi europei quali la Francia, l’Irlanda e il Regno Unito, promuova politiche fiscali e di programmazione economica di medio e lungo periodo che possano invertire il processo di progressivo abbandono di intere province italiane, come delineato nel Rapporto McKensey del giugno 2020 “The future of work in Europe”. Infatti, si prevede per il prossimo decennio l’aumento delle diseguaglianze territoriali, con aree con relativa stabilità economica contrapposte ad altre caratterizzate da una decrescita generalizzata.

Se questa prospettiva è corretta, il Governo fin d’ora dovrebbe promuovere, per circa metà del territorio nazionale, le seguenti azioni economiche:

– incentivi fiscali (defiscalizzazione totale degli interventi di recupero immobiliare, abbattimento delle aliquote IRPEF e IRAP per chi si trasferisca in aree al di sotto di una certa soglia di PIL medio p/c italiano);

– collegare gli stessi bonus derivanti dal Recovery Plan ad un obbligo di permanenza nelle località che hanno attratto quei fondi, o in capo ai nuclei familiari titolari del beneficio;

– sviluppare progetti di mobilità rispettosi della fragilità delle aree collocate spesso proprio nelle aree interne: quindi privilegiare l’ampiamento degli assi viari già esistenti più che lo stravolgimento del territorio con investimenti devastanti (si pensi alla Cornovaglia o alla Bretagna non percorse da superstrade);

potenziamento delle infrastrutture digitali e, in particolare, del network in fibra o satellitare per permettere la delocalizzazione anche di importanti segmenti di lavoro intellettualmente avanzato (per esempio per favorire la creazione di hub universitari o di alta specializzazione); è noto che nel corso della pandemia da Covid le aree circostanti le “star hub” di Milano e Roma hanno visto un incremento esponenziale della presenza di esercenti professioni intellettuali “fuori stagione”;

– favorire l’attrazione dell’elevato capitale umano italiano, europeo e mondiale verso le aree più fragili del Paese, creando le precondizioni per lo Smartwork/South work. Delocalizzare università e centri di ricerca verso aree a rischio di sparizione (si veda il successo di Civita di Bagnoregio nel nord del Lazio scoperta da investitori del centro-nord Europa e persino giapponesi poco prima della sua già scontata sparizione).

Italia Nostra auspica, pertanto, che Governo e Parlamento vogliano apportare delle modifiche al Piano per ridare al Paesaggio italiano e ai tanti Beni Culturali, sia quelli “importanti” sia quelli cosiddetti “minori”, il necessario ruolo di volano per una prospettiva di sviluppo armonico dei prossimi decenni.

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